La povertà in Carlo Liviero

Il Vangelo riporta molti brani che indicano che mettersi alla sequela di Cristo implica imitarlo e abbracciare come Lui anche la povertà. Luca al cap. 12,22 dice: “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” e ancora “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina” . Nel cap. 25 di Matteo Gesù s’identifica addirittura con chi è povero. Al momento del giudizio finale, infatti, quando al suo cospetto si presenteranno i buoni e i cattivi Egli risponderà alla loro domanda “Signore, quando mai ti abbiamo veduto? Con queste parole: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Il Beato Carlo Liviero si è impegnato a vivere questo vangelo in totalità. Ha sempre vissuto da povero accanto ai poveri. Fin da piccolo ha sperimentato cosa significhi vivere da povero, dipendere in tutto dagli altri, non disdegnando di bussare di porta in porta a chiedere l’elemosina per potersi pagare la retta al Seminario.

Mons. Camillo Berliocchi nel libro “Credere per Amare” mette in risalto Carlo Liviero povero usando un’espressione molto significativa: “Il fatto di essere nato povero è per lui un elemento positivo, perché lui non l’ha subita non l’ha neanche scelta la povertà, ma l’ha accolta secondo lo spirito evangelico delle beatitudini e soprattutto ad imitazione di Gesù che fin dall’inizio è stato povero. Liviero ha il merito di aver accettato la povertà con lo stesso spirito di Cristo”.
Per lui essere povero era quasi un privilegio. Da Vescovo per confermare ciò così scrive nella seconda Lettera Pastorale nel 1911 dopo essersi rivolto ai ricchi, ai padroni, agli intellettuali, alla classe borghese: “…ed ora mi rivolgo a voi caro popolo del ceto inferiore: del campo e delle officine. Nel rimirarvi mi muove un senso di amore tenerissimo…Voi siete il mio ceto, voi la classe a cui mi vanto di appartenere e come uomo e come Vescovo”.
Per questo i poveri stavano con lui, si mettevano dalla sua parte, perché si sentivano capiti, accolti, difesi.
Di fronte alla povertà, a qualsiasi povertà non rimaneva indifferente, si sentiva coinvolto, interpellato fortemente, lo confermano le numerose testimonianze raccolte dalle persone che l’hanno conosciuto, alcune delle quali sono state anche dai direttamente beneficate.
Mons. Mandrelli riferisce che “i poveri hanno sempre bussato con fiducia alla porta di Carlo Liviero” e ancora Don Riccardo Gennari testimonia: “Era sufficiente che un povero si rivolgesse a lui, perché il Vescovo cercasse di fare il possibile per aiutarlo. Riceveva personalmente i poveri che chiedevano l’elemosina, quando era presente in episcopio”. Dalle testimonianze emerge, quindi che Liviero era un uomo dal cuore molto sensibile, proteso verso qualsiasi bisogno, dotato di grande umanità verso ogni persona meno fortunata. Nel suo stile, nel suo modo di agire va all’essenziale. Conduce lui stesso una vita da povero. E’ povero nel vestire, nel vitto nelle suppellettili.

Mons. Vincenzo Pieggi, suo segretario personale negli ultimi dieci anni di episcopato, testimonia che “era così disinteressato che non si curava nemmeno del suo vestiario: regalò molti capi di biancheria. Le suppellettili e il mobilio della sua abitazione erano semplicissimi”. Sr. Giuseppina Bioli, prima suora dell’Istituto, afferma che “era sempre molto sensibile alle richieste di aiuto dei poveri e bisognosi che si rivolgevano a lui. Per la carità dimostrava un cuore così grande, da dimenticare le sue necessità personali”. Solo gli uomini di Dio possono arrivare a questo!

Liviero è presente in tutti gli aspetti della povertà, sia materiale, sia umana, sia spirituale. Quando giunge a Città di Castello nel 1910, tra gli obiettivi che si propone di raggiungere, c’è anche quello di andare incontro alla povertà, alla miseria in cui la gente si trova a vivere. Scrive nella prima Lettera Pastorale: “Soccorrere la miseria a costo di qualsiasi sacrificio”. Ecco nascere per sua iniziativa la Scuola Vescovile per istruire i  bambini più poveri, il giornale “Voce di Popolo”, la biblioteca ambulante e le scuole serali per incrementare la cultura e superare l’analfabetismo molto presente in quel tempo.
In diocesi è assai diffusa anche l’ignoranza e la povertà spirituale. Liviero si attiva per incrementare la formazione e la cultura religiosa attraverso il catechismo sia ai piccoli, ai giovani, agli adulti che raccomanda in modo particolare ai suoi sacerdoti. Lui stesso dedica molto tempo per la formazione soprattutto dei giovani e le giovani. Non c’è povertà, quindi, che non venga presa in considerazione e lo fa mettendo in atto forze e mezzi propri e con  l’aiuto di persone che lo possano coadiuvare avendo in cuore il desiderio di perseguire lo stesso suo obiettivo.

Dalle Lettere Pastorali e dalle testimonianze raccolte per la Causa di Beatificazione emerge molto forte il coraggio di denunciare senza timore o paura coloro che in forza del loro potere, opprimono la libertà delle persone. Anche questo modo di agire contribuiva ad accrescere la povertà negli individui.
Un ulteriore aspetto che caratterizza la personalità e la vita di Carlo Liviero è la fiducia illimitata nella divina Provvidenza. Ogni opera da Lui iniziata partiva quasi dal niente e tutto rimetteva nelle mani della Provvidenza. Una volta a coloro che non condividevano le sue scelte, perché forse non vedevano dei presupposti che dessero una certa garanzia economica così ha risposto: “Ho iniziato tutte le mie opere con fede nella Provvidenza di Dio, ho la piena fiducia che anche questa volta sarò aiutato. Se avessi dovuto dare inizio a qualsiasi progetto fidando su mezzi umani, non avrei mai fatto niente”.

Il Beato Carlo Liviero nacque, visse e morì povero consumando la sua esistenza per soccorrere gli ultimi,
le persone che erano nel disagio, spesso lasciate sole, prive anche della loro dignità umana. Accostandomi a questa figura, come Piccola Ancella e sua figlia spirituale viene spontaneo chiedermi: come si comporterebbe Liviero, oggi, di fronte alle nuove povertà?  Quali strategie userebbe? Sono interrogativi che ci interpellano fortemente sia a livello personale, sia in quanto Istituto, Chiesa e Società.
Concludo con un’espressione di Helder Camara, anche lui un padre dei poveri: “Non basta che i poveri ti conoscano e ti chiamino per nome, è importante che tu li conosca, e ne sappia la storia e ne sappia il nome”.

                                    Suor Maria Angelica Biesuz
 

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