23. Al Venerabile Clero ed al Dilettissimo popolo della Città e Diocesi,

19 Febbraio 1929

   

19 Febbraio 1929

 

 

 

Al Venerabile Clero ed al  Dilettissimo popolo della Città e Diocesi,

 salute e benedizione dal Signore

 

Venite, exultemus Domino: jubilemus Deo Salutari nostro (Psal. 94).

(Venite, esultiamo nel Signore; acclamiamo a Dio nostro Salvatore)

 

 

L

’anno da poco incominciato già a Noi si presentava colla fronte recinta dalle rose dell’allegrezza, e in questi due primi mesi ci ha fatto gustare gioie del tutto insperate. Malgrado i molteplici motivi di timori e di amarezze, che sempre rendono triste la vita del cristiano, e molto più del Ministro di Dio, per i pericoli che corrono le anime e per le offese che vengono fatte a Nostro Signore, non possiamo affatto reprimere i sentimenti di vivissimo giubilo, che inondano in questo istante il Nostro cuore. La fausta ricorrenza del cinquantesimo anno di Sacerdozio del Nostro SS. Signore e Padre, il Papa Pio XI, ancor dalle Feste Natalizie ci invitava al giubilo; la medesima Santità Sua per la Solennità della Epifania ci elargiva un Giubileo Straordinario, che durante tutto l’anno in corso doveva essere mezzo potentissimo di risveglio di fede e di ritorno alla vita di pietà cristiana per tanti nostri fratelli e figli; e ciò accresceva oltre modo la Nostra contentezza. A completare poi la Nostra felicità spirituale, fulminea come il baleno spargevasi in questi dì la notizia della riconciliazione dello Stato Italiano colla Chiesa! Oh nostro amabilissimo Iddio, quanto siete grande, e quanto buono! Siate ringraziato, perché avete voluto serbarCi in vita tanto da godere giorni sì belli e partecipare a così insperati trionfi! Ed ora rifacciamoCi a considerare, come meglio Ci detta il cuore, i tre faustissimi avvenimenti.

Era nel dicembre del 1879, quando in una delle superbe chiese di Roma celebrava la sua prima Messa il novello Sacerdote Achille Ratti. Nessuno certo di quelli che assistevano al Sacro rito pensava a quello che la Provvidenza andava preparando in quel nuovo ministro dell’altare, e neppure avrebbe potuto sognare a quali altezze di apostolato, di gloria, di trionfo era chiamato quel giovane Levita!

Volge ora il Cinquantesimo anno da quel giorno avventurato; e tutti sanno per quali strade la Provvidenza ha guidato il Suo fedele ministro alle sublimi altezze del Pontificato. Lo sa Milano che ne ha ammirato i primi lampi dell’ingegno e la vigoria della volontà; lo sa Roma che nella Biblioteca Vaticana ha potuto apprezzare la Sua profonda scienza e la sua vasta coltura, lo sanno le estere regioni ove Egli inviato dalla Santa Sede e Nunzio Apostolico ha dato saggio della Sua ammirabile prudenza, e della squisitezza del Suo tatto politico; lo sa finalmente la Chiesa Milanese che l’ebbe per troppo poco tempo a Pastore, ma tanto però da esperimentare l’ardentissimo zelo e la profonda pietà.

E sono oramai passati sett’anni che noi lo veneriamo sulla Cattedra di Pietro, Vicario di Gesù Cristo e riverenti e commossi ne ammiriamo le gesta apostoliche, le grandiose vedute, l’amore immenso alle anime.

Fin dall’esordio del Suo Pontificato, come astro dal suo primo comparire sull’orizzonte, ha mandato tre fulgidi raggi, che hanno lasciato comprendere di quale luce egli avrebbe presto irradiato la terra: l’azione cattolica, “pupilla degli occhi suoi”; l’opera missionaria, centro del suo cuore paterno; la formazione del Clero, aspirazione della sua anima apostolica. Fondendo insieme il programma dei Suoi immediati predecessori, Egli si è proposto di estendere il Regno di Cristo nella pace di Cristo; e coll’ardore del Principe degli Apostoli, di cui occupa il seggio, si è accinto all’impresa.

Precisando lo scopo dell’Azione Cattolica, l’ha sollevata al di sopra delle basse e limitate competizioni di politica e di parte; ne ha svelato tutta la spiritualità e la portata. Nel definirla “la partecipazione del laicato all’apostolato gerarchico della Chiesa” ne ha allargato il campo e ne ha ben delimitati i confini. Tutto ciò che si conviene all’apostolato della Chiesa, si conviene pure all’azione cattolica, e tuttociò che disdice all’apostolato della Chiesa, non si addice neppure alla Azione Cattolica. Supremo scopo dell’apostolato è il trionfo dell’Evangelo negli individui e nella Società, è la diffusione della dottrina di Gesù Cristo, è la guerra all’errore ed al vizio, è il regno della Grazia nei cuori. A questo devono mirare tutti i Cattolici di azione, né per pigrizia e rispetto umano devono tenersi estranei all’impresa. E perciò l’azione cattolica deve abbracciare tutti i campi, deve estendersi a tutte le classi: la gioventù e l’età matura, gli uomini e le donne, gli studenti e la classe operaia, il campo e l’officina. Perché poi non abbia mai a tralignare e a sbagliare indirizzo, l’azione cattolica è sotto l’immediata dipendenza e sorveglianza della gerarchia della Chiesa, cioè del Papa e dei Vescovi, e da essa gerarchia prende gli indirizzi e le norme. E poiché nella unione sta la forza, il Papa vuole che qualsiasi associazione od opera cattolica, pur conservando la propria autonomia, abbia a mettersi alla dipendenza, od almeno a coordinare la propria azione con quella della Azione Cattolica stessa.

Assecondando le vedute del Sommo Pontefice, e seguendo i suoi indirizzi, qual mai sviluppo non ha avuto l’Azione stessa, e quali copiosi e promettentissimi frutti non ha già colto! Ed è da augurarsi che dovunque, anche nella nostra Diocesi si faccia quanto il Papa desidera, e che vincendo le ritrosie e l’indifferenza, ogni parrocchia abbia i suoi circoli ed i suoi gruppi cattolici, con quel vantaggio spirituale che si ottiene là dove essi fioriscono.

 

 

Ma lo sguardo paterno e sapiente del Papa Pio XI si è rivolto anche più lontano. Memore delle parole del Divino Maestro: Et alias oves habeo quae non sunt de hoc ovili, et illas oportet me adducere1 (ed ho altre pecore che non sono di questo ovile ed è necessario che io ve le conduca); fin dagli inizi del suo Pontificato, Egli ha rivolto la mira ai ben più che mille milioni di uomini, i quali non hanno ancora ricevuto la luce dell’Evangelo e mosso dal Suo cuore Apostolico, ha dato un impulso vigorosissimo e sotto qualche aspetto anche nuovo alla grande opera delle Missioni. Coll’esempio e colla parola infuocata ha eccitato i fedeli a venire in soccorso dei poveri missionari; si è adoperato perché dovunque gli operai apostolici fondino chiese e cappelle; perché sorgano seminari ed istituti a preparare i novelli lavoratori della mistica vigna; e ha dato vita alla grandiosa opera di S. Pietro Apostolo per la formazione del Clero indigeno, perché in ogni angolo della terra vi siano Sacerdoti e Vescovi nativi del luogo ove disseminano la divina messe, togliendo così alle insospettite nazioni pagane l’idea che sotto il pretesto religioso si vogliano favorire le ingerenze delle nazioni Europee in quei luoghi remoti. Ed i frutti sono stati consolantissimi, specialmente quando si pensi alla necessità di porre un argine al dilagare delle missioni protestanti che tentano di inoculare l’errore nelle menti dei pagani ancora prima che conoscano la vera fede di Gesù Cristo.

Ma tanto zelo per disseminare la fede Cristiana, là dove essa ancor non è giunta, non poteva andar disgiunto dalla sollecitudine di conservarla colà dove essa ha già piantato le sue radici. E siccome alla conservazione della fede il primo ed il più necessario elemento è l’avere un Clero e santo e dotto; il sapiente Pontefice ha rivolto ogni sua cura ai Seminari, facendone con enorme dispendio costruire di nuovi. E per tacere degli altri noi ricorderemo la veramente Sovrana generosità con cui egli ha fatto costruire il nostro Seminario Regionale Umbro spendendovi parecchi milioni, perché le relativamente piccole Diocesi dell’Umbria potessero avere un grande Seminario dove i chierici più vicini al Sacerdozio fossero con più perfezione preparati alla loro grande missione.

Si è ancora preoccupato il grande nostro Papa della misera condizione del Clero Curato di tanta parte d’Italia, il quale mancava della residenza, cioè della casa canonica; e con generosità senza pari, ha già fatto costruire centinaia di case parrocchiali, perché il Clero potesse avere conveniente abitazione, e meglio prestarsi alla sua missione di cura d’anime.

Sarebbe veramente difficile il seguire il Santo Padre in tutto il suo svariato lavoro; e perciò lasciamo di enumerare le altre Sue molteplici sollecitudini ed opere, di cui è esuberante l’ancor breve suo Pontificato. Passiamo invece a considerare il magnifico dono del Giubileo straordinario di cui ha voluto arricchire la Sua Chiesa, in occasione delle Sacerdotali sue nozze d’oro.

Non appena il S. Padre ha conosciuto che tutti i suoi figli del mondo cattolico si preparavano a celebrare con la massima solennità la festosa ricorrenza del Cinquantesimo Anniversario della Sua Prima Messa; egli ha voluto prevenirli con un dono spirituale che servisse insieme ed a rendere più gioconda la festa, ed a trarne il maggiore profitto per le anime.

Già in un altro numero del Bollettino Diocesano vi è stata comunicata, o carissimi, l’Enciclica che promulgava il detto Giubileo straordinario, e quindi altro non resta che il dirvi come per la Città abbiamo assegnato per le visite le Chiese della Nostra Cattedrale, di S.M. delle Grazie, e di S. Francesco; e per le parrocchie di tutto il resto della Diocesi autorizziamo i Parroci a stabilire le Chiese della loro parrocchia in cui si devono fare le visite prescritte. A tempo e luogo Noi qui in Città faremo anche pubblicamente e solennemente le visite giubilari; ed alla fine dell’anno faremo dare anche una grande Missione, nella speranza che molti anche fra coloro che disgraziatamente vivono lontani da Dio, abbiano a mettere in pace la loro coscienza, ed a cominciare una vita veramente cristiana.

E’ Nostro vivissimo desiderio che durante l’anno anche nelle parrocchie della Diocesi si diano le SS. Missioni; ed esortiamo per questo i parroci a procurarsi per tempi i Missionari. In quella circostanza poi faranno anch’essi assieme col popolo, solennemente le visite Giubilari, che come è detto nella Enciclica, in questo caso sono ridotte a metà.

Ed ora veniamo al fatto culminante, e del tutto inaspettato, che proprio in questi giorni ha ricolmato l’animo Nostro della gioia la più viva ed esuberante. Lunedì 11 febbraio p.p. festa dell’Immacolata di Lourdes, in sul mezzodì, proprio nell’ora in cui 71 anni or sono compariva la Vergine alla B. Bernardetta, nel Palazzo Apostolico del Laterano, l’Eminentissimo Card. Gasparri Segretario di Stato di Sua Santità, e Suo Plenipotenziario, assieme con Sua Eccellenza il Cav. Benito Mussolini, primo Ministro di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Capo del Governo, e della stessa Maestà Suo Plenipotenziario, hanno firmato un trattato col quale si poneva termine alla famosa Questione Romana, si conchiudeva la pace fra l’Italia e la Chiesa, si riconosceva la sovranità del Sommo Pontefice nella “Città del Vaticano”, si stipulava un Concordato fra la Chiesa e l’Italia, che assicurerà alla Chiesa stessa quelle libertà di Associazione e di Culto di cui essa abbisogna per il dignitoso esercizio della Sua Divina missione.

Non occorre certo la Nostra povera parola per farvi comprendere la grandiosità e l’importanza di un atto così straordinario e sublime. Il plauso che si è innalzato da ogni parte d’Italia e del mondo cattolico; gl’inni di ringraziamento che dovunque echeggiarono nelle Nostre superbe basiliche; l’unanime concerto di tutti i giornali nel plaudire al Papa ed al Capo del Governo Mussolini, sono più che sufficienti a far comprendere la portata di un atto così grande e così inaspettato. Noi ne ringraziamo commossi l’Altissimo Iddio che ci ha voluto concedere il godere di un momento tanto sospirato. Ci inchiniamo venerabondi dinnanzi alla Augusta Santità del Pontefice Pio XI, che nella Sua illuminata sapienza ha trovato il modo di dirimere una questione che da tanto tempo agitava la cristianità intera; ed ammiriamo la fortezza d’animo e la mente direttiva di governo dell’illustre Duce del Fascismo, S.E. Mussolini, che ha saputo infrangere la ormai tradizionale mentalità settaria, che voleva un governo areligioso, ed ha conchiuso col Sommo Pontefice un Trattato ed un Concordato che ridona all’Italia il primo posto a lei dovuto fra le Nazioni Cattoliche.

Noi in Città abbiamo già celebrato il fausto avvenimento con un solenne Pontificale tenuto la scorsa Domenica prima di Quaresima, e col solenne Te Deum, a cui intervennero tutte le Autorità Politiche, Civili, Militari, Giuridiche e Scolastiche del luogo, con una immensa folla di popolo; ai quali tutti rendiamo i dovuti ringraziamenti; ed in pari tempo abbiamo ordinato che in tutta la Diocesi, nel modo che crederà più opportuno ogni parroco ne dia l’annunzio al suo popolo, e ne renda e faccia rendere grazie all’Altissimo.

Ed ora, o miei Venerabili Fratelli e Carissimi figli, sforziamoci di corrispondere a tante grazie che il Signore ha voluto elargirci, col moltiplicare lo zelo e l’assiduità nel divino servizio; mostriamoci veramente degni di essere nello stesso tempo e ferventi cattolici e incensurabili cittadini nella perfetta osservanza delle leggi Divine, Ecclesiastiche e Civili, il che faremo se vivremo più che mai conforme agli insegnamenti che Gesù Cristo ci ha dati, e la Chiesa con tanta sollecitudine continuamente ci propone.

E prima di ogni altra cosa stia a cuore del Nostro amatissimo Clero la predicazione della Divina parola; siano fedelmente osservate in proposito le prescrizioni del Sinodo Diocesano, costituz. 96, 381, 382, 388, 390, 398. Queste Costituzioni siano lette e spiegate anche al popolo, affinché ne comprenda tutta la importanza; e tengano bene a mente i parroci ed i curatori di anime, che nelle visite pastorali, ed in qualunque altra circostanza faremo grandissimo conto della osservanza esatta di quanto in esse è prescritto.

In secondo luogo raccomandiamo che si dia la massima importanza alla frequenza dei Sacramenti. Leggano pertanto diligentemente i Sacerdoti quanto è prescritto nel Sinodo Diocesano costituz. 226, 227, 228, 229, 230, 231, 232 e con sollecita attenzione lo spieghino al popolo; anzi di frequente ne parlino, e con tutta sollecitudine si prestino, affinché il popolo trovi ogni comodo per confessarsi e comunicarsi.

Facciamo parimente avvertiti tutti i Sacerdoti della Diocesi che è Nostra decisa volontà il far osservare esattamente le prescrizioni del Sinodo Diocesano e che non se ne abbiano a male se con Nostro grande dolore saremo costretti a prendere misure severe contro coloro che avessero a trasgredirle.

Ed ora, augurando a tutti del Clero e del popolo ogni più eletta grazia dal Signore, con tutta l’anima impartiamo a tutti la Nostra Pastorale Benedizione.

 

Dalla nostra Residenza, 19 febbraio 1929

 

X CARLO Vescovo

 

 

 

1   Giovanni 10, 16




 

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