15 febbraio 1916

 

 

 

Al Ven. Clero e diletto popolo della Diocesi

 salute e benedizione dal Signore.

 

 

 

 

A

nche in quest’anno si avvicina la santa Quaresima, tempo di penitenza e di preghiera, e Noi rivolgendo la parola ai fratelli venerabili ed ai figli diletti della Diocesi, ci sentiamo stringere il cuore per l’angoscia e la trepidazione da cui sono agitate tante anime, in questa ora di pericolo comune o di incerto avvenire. Vorremmo poter essere vicini a ciascuno dei nostri figli per dividere con essi gli affanni, per asciugare le lagrime, per sostenerne le speranze. Vorremmo portare a tutti i conforti che sgorgano dalla Religione, e spargere per ogni dove il balsamo di quella pace intima che sola può essere concessa dall’amore di Dio.  Ma quello che non ci è dato di fare in persona, ci sia almeno concesso di farlo con questa lettera che speriamo sia letta in tutte le chiese, ed accolta con figliale affetto da quanti ci sono stati affidati dalla Provvidenza in custodia e tutela.

E prima di tutto bisogna, o carissimi, alzare al Cielo lo sguardo ed il pensiero, e al lume della fede convincersi che quanto avviene nelle cose umane è predisposto da quella paterna provvidenza del Signore, che si serve di tutto, anche del dolore e della prova più amara, per condurre il mondo al fine da lui stabilito, che è fine di bontà e misericordia. Se Iddio permette tanti mali quaggiù, se lascia che le nazioni si agitino in uno sconvolgimento di cui la storia non ricorda l’uguale, se sembra talvolta che l’ingiustizia, l’orgoglio, la cupidigia degli uomini, abbiano il sopravvento e trionfino; noi dobbiamo convincerci, che non per questo egli abbandona le sue creature.

Sappiamo che egli dispone con fortezza e soavità d’ogni cosa: che dietro gli avvenimenti sia tristi, sia lieti si cela la sua mano potente la quale a tempo e luogo acqueta la bufera, dirada le nubi e fa splendere il sereno quando nessuno lo sa neppure sospettare.  Sappiamo che egli per richiamare gli uomini sul retto sentiero permette talvolta che siano tribolati ed oppressi dai loro nemici, ma che non appena essi a Dio sinceramente ritornano usa loro misericordia, e concede loro il trionfo.  Così leggiamo nel libro II° di Esdra (IX 26): “I tuoi figli ti hanno provocato allo sdegno, e si allontanarono da te, e si gittarono dietro le spalle la tua legge: ed uccisero i profeti tuoi, che li eccitavano a ritornarsene a te; ed hanno commesso delle grandi bestemmie; e tu li hai dati in mano dei loro nemici che li tribolarono. Ma nel tempo della tribolazione alzarono a te la voce, e tu dal cielo li udisti, e secondo le tue grandi misericordie hai loro mandato chi li salvasse dalle mani dei loro nemici”. Non vi sembra, o dilettissimi, che questo luogo della S. Scrittura sia proprio adatto al tempi nostri? Questa vecchia Europa, che fu per lungo tempo maestra al mondo di civiltà, per le sue leggi ed i suoi costumi ispirati ai principi del Vangelo, ha in gran parte disertato da Dio. Lo scisma e l’eresia ha travolto fiorenti contrade; l’incredulità e l’empietà ha sconvolto le altre: Dio fu cacciato dalla società, il suo culto deriso, la sua Chiesa fatta oggetto di guerra implacabile. Sette tenebrose che portano sui vessilli le insegne di satana, impunemente, sotto il pretesto della libertà, crebbero ovunque, e si impadronirono a poco a poco della famiglia, delle scuole, delle beneficenze, d’ogni istituzione civile. Il nome stesso di religione fu ripudiato; si vantarono gli uomini d’aver vinto Iddio, e di saper reggersi senza bisogno del suo concorso.  Si disertarono le chiese; la divina parola fu messa in dispregio; il sacerdozio fu privato d’ogni appoggio materiale e morale, si eccitarono le plebi contro tutto ciò che v’ha di più santo; si promise ai semplici la felicità della terra, a patto che rinunziassero alle speranze del cielo. I costumi lentamente si fecero ridivenire pagani; il vincolo santo della famiglia si allentò per lasciar libero il passo alle cupidigie volgari; la santità e la purezza si tacciarono di bigottismo, e di sciocchezze. Il teatro, le lettere, la stampa divennero fonti avvelenate di una corruzione la più profonda.  In omaggio all’arte si prostituì il pudore; si divinizzò la carne, e si disse chiaro che l’esaltarla è un bene, il mortificarla una colpa.  In nome del diritto comune che si volle ateo, si abolirono gli eterni principii della giustizia: alle sante aspirazioni della fede si opposero le fallaci dottrine del materialismo il più grossolano, e del comunismo il più sfacciato. Sono ormai quasi due secoli che si lavora a demolire il Cristianesimo; e i figli ribelli della religione di Cristo non vollero accorgersi che demolendolo sarebbero rimasti schiacciati sotto le sue rovine.  Né valsero le voci di richiamo di tanti Pontefici Romani, né le grida incessanti di tanti Vescovi e Sacerdoti: anzi contro di loro si puntarono le armi della calunnia e del disprezzo. Via il prete! Ecco il grido fanatico che risuonò per lungo tempo su tutta l’Europa; ed il prete fu tolto alla scuola, alla beneficenza, alle opere secolari dalla Chiesa istituite. Tutto si volle laico, si volle fare senza il concorso di Dio e della Chiesa.  Si poteva dare ribellione più aperta? Né datevi a credere che al delitto di apostasia non abbiano almen in parte aderito anche i semplici figli del campo e dell’officina: che anzi la bestemmia volgare contro Dio e contro le cose sante è divenuta il linguaggio ahi! troppo comune anche dei contadini e degli operai; i giorni santi di festa si vedono più o meno profanati dovunque; i precetti religiosi tenuti in dispregio anche da coloro che per condizione sono più attaccati alla fede tradizionale. Né minore oltraggio vien fatto alla santità del costume: basta dare uno sguardo alle nostre popolazioni per farcene una qualche idea. Non sono davvero pochi coloro che si preparano al matrimonio colla vita dissoluta; non è scarso il numero delle nubende che si recano all’altar delle nozze portando in fronte il marchio del disonore.  La gioventù non ha più freni; la castità del costume è oramai cosa d’altri tempi. Il linguaggio che dovunque si ode è quello della scurrilità e del turpiloquio, a tal segno che per mostrarsi evoluti e alla portata dei tempi si mena pubblico vanto delle proprie dissolutezze. Non è rispettata la santità del coniugio; ed alla fedeltà del talamo si recano frequentissimi oltraggi. Molti, oh! molti non hanno più scrupolo né di scandalizzare i piccoli, né di offendere la modestia delle giovani, né di eccitare le basse passioni degli adulti.  Aggiungete a questo la vergogna di mostrarsi cattolici, la facilità di violare i precetti Ecclesiastici, la non curanza dei Sacramenti, il nessun timore dei divini giudizi. Oh lagrimevole quadro di un popolo che ha abbandonato il suo Dio, che se l’ha buttato dietro le spalle!  Oh grande peccato della società presente! Peccatum grande!1

Ed ora ditemi: se le cose stanno proprio così, come ve le ho descritte: che cosa possiamo aspettarci? Avremo ancora il coraggio di lamentarci di Dio, e di mormorare perché non viene pronto in nostro soccorso? Non dobbiamo piuttosto buttarci colla faccia per terra, ed esclamare: peccavimus, iniuste egimus, iniquitatem fecimus (abbiamo peccato, ci siamo comportati ingiustamente, abbiamo commesso iniquità)? Non è chiaro che tutti i flagelli, compreso quello della guerra, sono conseguenze lagrimevoli del nostro distacco da Dio?

Suvvia adunque, diletti figliuoli, affrettiamoci a ritornare al Signore, che è grande nella sua misericordia; mettiamo subito mano ai ripari. Persuadiamoci che il lavoro a cui dobbiamo accingerci è grande, è lungo, è faticoso. Ma non ci perdiamo d’animo; che tutto non è ancora perduto.  Come un giorno il popolo Ebreo tornato dalla schiavitù pianse di grandissimo pianto al vedere le misere condizioni in cui era ridotta la città santa ed il tempio; ma tosto si mise all’opera per rimetterli in piedi: così anche noi non ci accontentiamo di uno sterile pianto sulle rovine accumulate dall’empietà e dal vizio sulla città santa di Dio: ma con fede e risolutezza di volontà cominciamo a ricostruire.

E il primo lavoro di ricostruzione deve essere il nostro, o venerabili confratelli Sacerdoti. Da noi dipende in gran parte la salvezza e la rovina dei popoli: “Vos estis presbjteri in populo Dei, et ex vobis pendet anima illorum” (Iudith 8.21) (voi siete presbiteri nel popolo di Dio, e da voi dipende l’animo di quelli). Noi siamo la luce del mondo, e non possiamo fugare le tenebre se ci nascondiamo sotto il moggio; noi siamo il sale della terra, e se sal invanuerit (il sale diventerà insipido) come potremo pretendere che si diffonda tra i nostri figli il condimento della verità? E’ vano il lamentare la corruttela ed il vizio dei popoli a noi affidati, se non si trova in noi quella santità di vita, quello zelo della gloria di Dio, quello spirito di sacrificio amoroso per le anime che ci deve meritare il nome di padri, di pastori, di guide.

Base di vita sacerdotale, e fondamento di lavoro fruttuoso è la disciplina. Non illudiamoci fossimo anche ardenti di zelo come Paolo, e pieni di carità come S. Vincenzo de’ Paoli, se ci manca lo spirito di disciplina, non lavoriamo per edificare ma per distruggere. I nostri figli hanno in gran parte apostatato dalla loro madre la Chiesa, non riconoscono più nel Sacerdote la guida da Dio posta a dirigere i loro passi. Ma noi Sacerdoti non ne abbiamo nessuna colpa? Non fu l’esempio di qualche nostro confratello ribelle al suo Vescovo, dispregiatore de’ consigli del Pontefice che ha dettato a queste popolazioni quegli istinti di insubordinazione per cui vorrebbero piuttosto guidar la Chiesa, che averla per maestra? Sacrifichiamo le nostre vedute, le nostre misere ambizioncelle alla umiltà, all’obbedienza, accontentiamoci di fare i1 bene come e quando, e secondo le direttive dei nostri superiori, senza lamenti, senza pretese. Non atteggiamoci a vittime, non rinchiudiamoci nella tenda neghittosi ad aspettare tempi migliori.  Facciamo generosamente la volontà di Dio manifestataci col mezzo dei nostri superiori; siamo con loro un cuor solo e un’anima sola; e il nostro lavoro sarà fecondo, e sarà benedetto da colui che ha promesso la vittoria all’uomo obbediente. “Quare sunt bella et lites in votis? Nonne ex concupiscentiis... quae militant ad versus animam?” 2(Jacob 4) (Perché ci sono guerre e liti nei voti? Non forse dalle passioni che lottano contro l’anima?)

E neppure lasciamoci sopraffare dallo scoraggiamento: potrà sembrarci che il nostro popolo non corrisponda alle nostre cure, che non si presti alle iniziative a cui siamo incitati. Ma noi dobbiamo partire da un principio ben più alto e nobile: lavoriamo per Iddio, e da lui ci aspettiamo anche i buoni risultati. Guai se il vano timore di non riuscire ci facesse stare inerti, e ci rendesse pigri nell’opera!  Quanto sono più prudenti in questo i figli delle tenebre? Come non si stancano mai, e sempre ritentano la prova!  Imitiamoli, o fratelli, e Dio benedirà i nostri sforzi e coronerà le nostre fatiche con ottimi risultati.

Nostra prima e più sollecita cura sia la casa di Dio: “Domine dilexi decorem domus tuae” 3 (O Signore, ho amato il decoro della tua casa).  Eccitiamo colla parola e coll’esempio i fedeli ad accorrervi spesso, a trattenervisi volentieri: “concupiscit et deficit anima mea in atria domini”4(anela e languisce l’anima mia per gli atri del Signore)).  Procuriamo di farla bella la nostra chiesetta: essa è la nostra sposa, e deve risplendere “ornata monilibus suis5 (ornata dei suoi monili). Siamo premurosi di tenervi delle care funzioncine: la devozione al S. Cuore di Gesù, la visita al SS.  Sacramento, il Sabato della Madonna, le domeniche di S. Luigi e di S. Giuseppe, la S. Comunione pel Purgatorio. Innamoriamone il popolo: facciamogli comprendere quante grazie si ottengono con queste pie pratiche.

Rammentiamoci del dovere sacro della predicazione, della sua efficacia a smuovere le volontà, a conquidere i cuori: penetrabilior omni gladio ancipiti (più penetrante di ogni spada a doppio taglio).  Noi non prestiamo fede a quei maligni che di tanto in tanto spargon la voce che qualche parroco non spiega il Vangelo, non fa la dottrina ai piccoli, non tiene il catechismo per gli adulti.  Ma e se fosse vero?  Quale responsabilità dinanzi a Dio, quale danno per le anime, quale ingiustizia di fronte alla Chiesa! parvuli petierunt panem, et non erat qui frangeret eis (i piccoli chiesero del pane e non c’era chi glielo spezzasse).  Predichiamo sempre o miei fratelli; predichiamo nelle feste, nei giorni feriali, nelle chiese, nelle case, nelle adunanze.  Oh quanta ignoranza nelle nostre popolazioni! Come vivono tanti Cristiani senza conoscere né verità religiose, né precetti divini, né comandi della Chiesa! Oh guai, guai a chi mandato da Dio per istruirli, tace e non grida! clama, ne cesses, quasi tuba exalta vocem tuam6 (grida a squarciagola,  non desistere, come una tromba alza la tua voce). Non basta davvero, il raccontare ogni domenica quel po’ di Vangelo, con brevi applicazioni generiche: bisogna scendere al livello dell’intelligenza dei nostri uditori; bisogna capacitarli di ciò che è bene, e di ciò che è male; bisogna infondere nei loro cuori l’orrore al peccato, l’amore alla virtù, il desiderio della vita futura, il disprezzo dei colpevoli piaceri del mondo.  Bisogna abituarli all’idea del dovere, alla necessità del sacrificio, bisogna far loro comprendere tutta l’importanza di salvar l’anima, e di salvarla a qualunque costo.

Mettiamoci in mente che la società non sarà salva fino a tanto che non avremo fatta cristiana la gioventù.  Vedete quante insidie da parte dei malvagi di tutti i colori, per istrappare i piccoli dalle mani della chiesa?

Piangiamo, fratelli miei, piangiamo sulla sorte di tante innocenti creature che vengono quotidianamente sacrificate colle lusinghe di materiali vantaggi, di educazione gratuita, di beneficenza, di divertimenti sportivi.  Ma non siano le nostre, sterili lagrime.  Corriamo ansiosi a togliere dai lupi le nostre creature. Accingiamoci alla santa impresa di condurre a Dio le anime dei bambini, quelle anime che tanto erano care a Gesù Cristo.  Ogni Sacerdote si ricordi di dare alla dottrina cristiana, cioè alla istruzione dei piccoli le ore più belle del suo ministero.  Rammentate spesso ai genitori il loro dovere gravissimo di educare figliuoli e voi da buoni padri e pastori cercate colle amorevolezze, colla  pazienza, collo studio col metodo di rendere gradita l’istruzione religiosa. Ogni curato deve avere la nota esatta di tutti i ragazzetti della sua parrocchia, e vi deve notare le presenze e le assenze: deve tutte le domeniche e feste di precetto spendere non meno di mezz’ora, anzi un’ora se è possibile ad istruirli nelle preghiere, nelle verità fondamentali della fede, ne’ comandamenti di Dio e della Chiesa, negli obblighi del cristiano.

Bisogna, o miei fratelli, innamorare i piccoli della Comunione: bisogna farli ardere dal desiderio di riceverla: bisogna fare per loro, proprio per loro delle belle festicciuole.  Che bel mezzo non è questo per attirare anche i grandi al sacramenti! L’esempio di quelle creature innocenti, commuove, invita, trascina anche i loro parenti a diventare migliori, a rimettersi in grazia di Dio.

Un altro lavoro che si impone è di formare la gioventù al buon costume ed alla vita innocente.  Chi non vede che la massima parte dei giovani e delle ragazze perde ogni gusto alla pietà ed alla religione proprio in quei momenti di vita in cui abbisogna di maggiori grazie per perseverare?  Fino ai tredici o quattordici anni tanto e tanto un po’ di pietà rimane: ma dopo... ahimè che rilassatezza, che indifferenza, ed in molti anche quanto disprezzo per la religione! Quale è la causa di una tale trasformazione? Pastori di anime, miei confratelli, lo sappiamo ben noi, come la bufera delle passioni le più vergognose travolge la massima parte dei nostri giovani figli.  Oh! guai a noi, se per indolenza o per mancanza di iniziative lasciassimo correre per la sua china questo torrente di fango che minaccia di seppellire le crescenti generazioni! Il parroco veramente zelante ha già predisposto le cose pei momenti critici: egli ha già istituito la pia Unione di S. Luigi per i maschi, quella delle figlie di Maria per le femmine, e si vede tutte le Domeniche coronato l’altare di questi due santi istituti, dove crescono le migliori speranze della parrocchia.  Ma hanno fatto tutti così?... S’è poi pensato sul serio ad istituire un circolo della gioventù Cattolica, dove i ragazzi dai quindici anni in su si addestrino alle sante battaglie della fede, ed imparino a difendere le proprie convinzioni religiose dall’assalto della incredulità e dei partiti nemici della Chiesa?  Lo so quanto sia difficile questa impresa, ma so ancora che chi ha veramente voluto c’è riuscito; e tante belle e fiorenti schiere di giovani d’altre regioni, così uniti al clero, così ossequienti alla Chiesa ed al Papa sono un continuo rimprovero per noi!

Ma ad un pericolo ben più grande siamo esposti noi o Venerabili fratelli; al pericolo di rimanere fra breve assolutamente senza Sacerdoti. L’aiuola del Santuario è quasi deserta; le vocazioni non si moltiplicano, i pochi Chierici del Seminario non son che una misera ed incerta speranza per l’indomani. Quali sono le cause di un malanno sì grave? Sono molteplici, lo so, ma non tali da farci perdere ogni speranza di rimedio.

Prima causa senza dubbio è il raffreddamento della pietà nelle famiglie.  Pur troppo i genitori dell’oggi non sono più quelli d’un tempo; non si tengono più onorati di donare a Dio i propri  figliuoli, non ambiscono più ad avere la gloria di un sacerdote nella propria casa.

Oggi si pensa alla materia, al guadagno: si sogna nel figlio un mezzo di accrescere le proprie fortune, e siccome il Santuario non è più la strada facile del lucro e non ha la prospettiva di discreti guadagni, si sdegna di mettere il proprio figlio all’ombra degli altari.  Fratelli miei sacerdoti predicate adunque e spesso al vostri popoli quanto sia sublime la dignità dei Sacerdote, come sia grande fortuna l’essere chiamato da Dio a lavorare per la salute delle anime, quante benedizioni Iddio tiene preparate per la casa dove germoglia un ministro dell’Altissimo.

Ma un’altra causa, io scorgo, e forse più dannosa. Sono davvero pochi quei Sacerdoti che coltivano le vocazioni.  Molti se ne disinteressano affatto, e per timore di aver poi delle noie, dei gravami, delle spese, non si danno pensiero di vedere se fra i piccoli della propria cura ve ne sia alcuno che prevenuto dalla grazia potrebbe riuscire utile e santo chierico.

Suvvia, carissimi confratelli, se vi stanno a cuore le anime, se amate la terra che vi vide nascere, se volete che giorni men tristi siano preparati alla società, accingetevi con ardentissimo zelo a preparare gli allievi del Seminario.  Non dite che le vocazioni vengono da Dio, e quindi niente può far l’uomo per suscitarle.  Dio pone il germe nei cuori: tocca a voi il fecondarlo e il farlo sviluppare. Vegliate sui vostri cari giovanetti, e se scorgete qualche buona disposizione in alcuno, prendetelo subito come un avviso di Dio.  Avvicinatelo questo giovanetto, mostrategli un cuore veramente paterno ed amico, cercate che sia spesso con voi; parlategli di Dio, della pietà, delle cose sante; tenetevelo accanto all’altare.  Aiutatelo nelle cosucce di scuola, fategli capire che gli sarete di protezione e d’aiuto anche per l’avvenire; seminate in quel cuore le prime scintille di zelo per la gloria di Dio, pel decoro del tempio, per la salute delle anime. Che bella cosa non sarebbe se ogni parroco si occupasse un poco ogni giorno a fare scuola a qualche ragazzetto più svegliato di ingegno e più inclinato alla pietà, e preparasse pel Seminario un alunno che entrando in II° e III° ginnasio desse maggior affidamento di riuscita!

Un altro lavoro urge compiere o miei carissimi fratelli, o miei amati Figliuoli.

Bisogna accingerci con tutta l’anima a salvaguardare la religione e la fede dai pericoli dell’indomani.  Quando a Dio piacerà, e speriamo sia presto, cesseranno i tumulti e le confusioni dell’ora solenne che passa, la società si rimetterà sulla via ordinaria. Ora quale sarà la nuova posizione in cui ci troveremo?  Non bisogna illuderci; il demonio non dorme, e già ha cominciato a seminar la zizzania. La setta tenebrosa che in fondo a tutte le sue camaleontiche mosse non ha altro di mira che la guerra a Dio senza quartiere, che anche in questo momento di necessario raccoglimento e di concordia ha buttato fango a manate sul clero, sul Pontefice, sui sacerdoti perfino che tra il fragor dell’armi hanno portato l’opera loro conforto sui morenti, sui feriti, su quelli che si cimentano nella battaglia, raccoglierà domani tutti i suoi adepti, tutti i nemici di Dio e della Chiesa, e cercherà di soffocare la religione.  Già le prime avvisaglie si sono viste: fintantoché poteva sul popolo credulone far impressione l’idea che i cattolici avversino la guerra per fini antipatriottici, si è detto che la religione e la Chiesa erano contrarie alla guerra perché volevano fare l’Italia schiava ed umiliata.

Ora che specialmente tra i contadini, i braccianti, ed il popolino può far buon gioco l’asserire il contrario, si sparge la voce che la guerra fu firmata e voluta dai preti e dal signori.  Queste banali e stupide insinuazioni, se oggi non ci tengono, perché troppo volgari, indicano però quello che sarà il fulcro della lotta anticristiana del domani.  Si capisce benissimo che la guerra anche la più fortunata lascia dietro a sé degli strascichi dolorosi che mai si comprendono e peggio si valutano dai semplici e dagli ignoranti: e quegli strascichi la setta li rovescerà tutti sopra di noi. I facili oratori della piazza e del bettolino avranno trovato l’argomento convincente, se noi non ci accingiamo subito a riparare i loro colpi.

E bene a proposito ci viene additata dall’alto la propaganda per l’Unione Popolare fra i Cattolici d’Italia. E’ dovere imprescindibile di tutti coloro che amano la propria Religione, la Chiesa, Gesù Cristo, lo stringersi insieme in falange compatta, per poter con più facilità resistere all’urto che, secondo ogni previsione, sarà tremendo. Bisogna addestrare i nostri figli allo spirito di disciplina e di solidarietà Cristiana. Bisogna far comprendere come soli e divisi saranno facile preda di insidiosi avversarii; e come invece stretti insieme dai vincoli delle Antiche Associazioni, e guidati da quelle persone probe ed illuminate che la S. Sede ha posto a capo del movimento sociale cristiano, potranno non solo salvaguardare l’incomparabile tesoro della Fede, ma ancora far prevalere i propri giusti diritti, e le oneste e giuste aspirazioni.

E’ volontà nostra pertanto che in ogni parrocchia sorga e subito il gruppo della Unione Popolare. Nessun parroco, che abbia a cuore il bene dei suoi figli, deve indietreggiare o dissimulare: ma tutti concordi, in ossequio ai desideri della S. Sede e del proprio Vescovo, devono mettere mano al lavoro.

Non importa se si troveranno degli ostacoli, se bisognerà fare dei sacrifici; è un bene di ordine superiore quello che ci spinge, e chi nol comprende, o nol vuole conseguire, manca al proprio dovere.  Saranno segnalati alla venerazione dei confratelli, alla stima dei superiori quelli che daranno pei primi il buon esempio: sarà tenuto conto mano a mano dei gruppi dell’Unione che sorgono; e saranno pubblicati sul bollettino diocesano.  Si conoscerà così davvero chi ha zelo, e chi è neghittoso.

Nella prossima quaresima e precisamente negli ultimi 10 giorni del Marzo sarà tenuta nel ven.  Seminario una adunanza di tutti i Parroci della Diocesi , e là studieremo insieme i mezzi pratici per riuscire in questo lavoro che tanto s’impone.

 

Ed ora o fratelli Venerabili, o carissimi figli, lasciate che io rivolga l’animo compiacente ad un’altra opera che col vostro valido appoggio ha cominciato a produrre i suoi frutti, e che spero non vorrà morire: voglio dire l’opera del S. Cuore pei derelitti.  Voi ben conoscete o fratelli Venerabili e figli carissimi in quali tristissime condizioni di dolore e di abbandono si siano trovati tanti bambini nella occasione della guerra: voi stessi talvolta vi siete sentiti stringere il cuore pensando a queste tenere creature rimaste senza appoggio e senza guida.

E noi abbiamo coll’aiuto generoso dei buoni, e coll’infaticabile carità di tanti fra voi Sacerdoti provveduto per una istituzione che procuri oltre che un pane anche una educazione cristiana a questi poveri figli che hanno visto portarsi via dalla bufera i1 padre ed il sostegno della casa. 

Trentaquattro sono quelli che già abbiamo raccolti; ma quanti altri abbiamo dovuto dire di no, per imprescindibile mancanza di mezzi! L’opera però progredisce bene: questi nostri figlioletti sono veramente buoni, e crescono proprio col santo timore di Dio.

Ma essi abbisognano della sollecitudine di tutti; e se tutti continueranno come hanno incominciato potrà anche estendersi, e, riuscire di conforto anche a quei miserelli che nella terribile circostanza avessero a perdere il padre o chi ne faceva le veci.Carissimi confratelli Parroci fatela conoscere quest’opera: parlatene ai parrocchiani: dite che il S. Cuore di Gesù largheggia di grazie con chi la aiuta.  Dite che o poco o molto che per essa si faccia, si compie sempre un’opera buona.  Voi stessi aiutatela, e vedrete col fatto che l’amoroso Cuore di Gesù renderà sempre più fecondo e lieto il vostro pastorale ministero.

Non posso poi passare sotto silenzio l’opera della buona stampa. Stringe il cuore il pensiero che perfino diversi Sacerdoti, o non sono associati a nessun giornale cattolico, o addirittura fanno loro pascolo quotidiano di giornali anticlericali e scritti da penne spesso vendute alla Massoneria. 

Che dire poi delle letture quotidiane del nostro popolo?  E’ fuor di dubbio, che tutti quelli i quali sanno leggere alla meno peggio, vogliono sapere qualche cosa di ciò che avviene nel mondo; e quasi per necessità creata dalle circostanze, prendono in mano un giornale, che non è mai il giornale cattolico. Né dicasi che queste letture sieno innocue per il popolo, il quale al più guarda la cronaca, e non si addentra nelle questioni.  E’ stata proprio questa la causa che ha guastato le idee di moltissimi, così che nella nostra diocesi è proprio un prodigio se si può trovare persona del laicato che senta completamente, come deve sentire un cattolico, senza avere qualche concetto sbagliato.

Venerabili fratelli, voi bene conoscete il nostro ambiente, voi sapete quali inveterati pregiudizii non vi siano contro la Chiesa, contro il Papa, contro i preti. Il veleno dell’incredulità, il dubbio ed il ridicolo sparso sulle verità della fede, le calunnie seminate contro il Papato, i principii morali sbagliati vengono assorbiti da tutti, anche dai semplici; e si tocca con mano che in generale l’uomo la pensa come il giornale che legge.

E fa proprio disonore alla nostra diocesi il fatto che neppure il giornale Cattolico locale è letto da molti: anzi vi sono paesi intieri dove non è associato nemmeno il Parroco. Non ha notizie, si grida; non è redatto bene!  Ma ci avete pensato mai che il povero giornale vive una vita stentata e non ha risorse: e che proprio quelli che più lo disprezzano sono quelli che non l’hanno aiutato mai?  Lo pensate voi che nessuno si prende la briga di scrivere corrispondenze, di prestare aiuto, e che il lavoro si accumula tutto su d’un solo sacerdote che senza compensi di sorta, vi sacrifica tutto il tempo libero che ha? Se si facessero meno critiche, e si lavorasse un poco per la sua vita, egli sarebbe rigoglioso e farebbe onore alla nostra diocesi. Cercate adunque che egli penetri in tutte le parrocchie, che sia letto da quelle persone che si dilettano di leggere: mandate notizie di tutto ciò che può interessare i varii paesi, e sopra tutto procurate degli abbonati.

Per quelli poi che amano le notizie quotidiane, e per i sacerdoti specialmente è doveroso l’abbonarsi ad un giornale cattolico, e dare lo sfratto più che si può alla stampa anticlericale, che spande tante rovine nel nostro campo.

Molte altre cose avrei a dirvi o fratelli e figli carissimi, ma m’accorgo di essere stato anche troppo lungo. Suvvia adunque, accingiamoci all’opera.  Se vogliamo veder rivivere la fede e la pietà, se vogliamo la benedizione di Dio, approfittiamo della entrante Quaresima, per dar mano al grande lavoro di ristorazione che con tanta urgenza si impone. Fate che la nostra povera parola non cada nel vuoto; accoglietela come avviso del Signore, e mettetela in pratica.

Ed il Signore nella pienezza della sua misericordia vi sia largo dei suoi celesti favori, e vi benedica, come io di cuore vi imparto la pastorale benedizione.

                                                                       

                                                                                                X CARLO Vescovo

1    Aggettivo di tono colloquiale

2    Unde bella et lites in vobis? Nonne ex concupiscentiis vestris, quae militant  in membris vestris) (Donde vengono contese e liti tra voi? Non forse dalle vostre passioni, che militano nelle membra vostre?)

3    Psalmus 25

4    Salmo 84, 3

5    Salmo 45, 15

6    Isaia 58, 1

 

Salva Segnala Stampa Esci Home