15 Marzo 1914

 

 

 

Al Venerando Clero e Dilettissimo popolo della Città e Diocesi, 

Salute e benedizione dal Signore

 

 

 

G

iorni santissimi della Pasqua si approssimano, la Chiesa, madre affettuosissima, chiama i suoi figli a raccolta, affinché riconciliati con Dio, possano partecipare ai divini misteri, e raccogliere frutto abbondante di grazia. E quale consolazione non sarebbe pel cuore di un Vescovo, se egli potesse constatare che la massima parte delle sue pecorelle, corrispondendo agl’inviti dei loro pastori, si accostassero degnamente ai Sacramenti!  Ma purtroppo, la nequizia dei tempi non ci permette di gustare appieno questo gaudio; anzi ci si para dinnanzi agli occhi il desolante spettacolo di moltissimi della città e delle grosse borgate, e di non pochi anche delle parrocchie minori, i quali tutt’altro che dare speranza di ritorno a Dio, se ne vanno sempre più allontanando. Memori quindi della intimazione fatta da Dio al profeta: “clama, ne cesses; quasi tuba exalta voce, tuam” (Is., 58.1)(grida a squarciagola, non desistere, come una tromba alza la tua voce!), prendiamo oggi la penna per scrivere a tutti voi o Venerabili Fratelli e dilettissimi figli, quello che sanguinando ci detta il cuore affine di scuotere i tardi, di svegliare i sonnolenti, di convincere gli incerti a compiere con fede e premura il S. precetto Pasquale.

            Le cause funeste che tengono tanti lontani da N.S. Gesù Cristo si possono ridurre a tre: l’indifferenza religiosa, i pregiudizi contro la fede, e il dilagare del mal costume. E noi le prenderemo tutte e tre in rassegna per dimostrare quanto esse siano dannose non solo alle anime, ma ancora al benessere materiale, alla pace della famiglia, al buon andamento del consorzio umano. Ci conceda Iddio tanta grazia, che la nostra povera e disadorna parola arrivi al cuore, lo tocchi, e lo risani.

            L’indifferenza religiosa, è la piaga prima dei cristiani dei nostri tempi: piaga diffusissima e contagiosa che contamina ogni classe d’individui: e dalle comode case del ricco e dall’abbiente è passata nelle officine, nelle fabbriche, nei laboratori, né si è arrestata dinnanzi al casolare del contadino, che poco tempo addietro poteva scambiarsi col santuario della pietà. L’uomo ha rivolto tutte le sue cure ai beni del corpo: ed in tanta abbondanza di mezzi e di ritrovati per rendere comoda la vita, s’è dimenticato di Dio, come già prevedeva Mosè (Deut. 32): “incressantus, impinguatus, dilatatus dereliquit Deum factorem suum(ingrassato, rimpinguato, rimpinzato, abbandonò Dio che lo aveva fatto). Anzi il perpetuo avvicendarsi delle molteplici cure del corpo ha assorbito tutto il tempo e tutte le energie della vita umana: così che tanti cristiani, cercando una scusa alla propria indifferenza religiosa, asseriscono di non trovar tempo per pensare all’anima e a Dio. Sciagurati! Ed hanno dimenticato la tremenda minaccia del Signore: “ducunt in bonis die suos, et in puncto ad inferna descendunt!”1 (Job. 21,13) (chiudono i loro giorni in mezzo ai beni, poi scendono in un istante all’inferno).  Non è facil cosa il riassumere in brevi parole gli effetti disastrosi di questa indifferenza: come non è facile il capacitarne la mente di tanti illusi. A somiglianza dell’empio, che gloriandosi della sua iniquità, ripeteva nelle scritture Sante “peccavi et quid mihi accidit triste?” (Ho peccato e che me ne è venuto di male?) si sentono questi infelici ripetere: E che mi fa di male la trascuranza dei miei doveri religiosi? Io vedo col fatto che si può ben campare ugualmente! E perché si può mangiare, dormire, solazzarsi senza il pensiero di Dio, si pone il non cale il nostro ultimo fine; si tende un velo per nascondere ciò che vi ha di più nobile nell’uomo, lo spirito; si vuol cancellare dal nostro volto l’immagine di Dio ch’esso porta scolpita; e si traduce in fatto ciò che fin da’ suoi tempi affermava Davide “homo cum in honore esset, non intellexit: comparatus est jumentis insipientibus, et similis factus est illis”1 (L’uomo, pur essendo in onore non lo ha capito: si è assimilato al bestiame sciocco ed è diventato simile a quello).

            E questa indifferenza si estende a tutti i doveri del Cristiano. Il linguaggio blasfemo di insulto al nome santo di Dio e della Vergine; la derisione ed il sarcasmo per la Chiesa ed i suoi ministri sono diventati purtroppo male comune: né si può più metter piede in una officina, in un laboratorio, in un negozio: ma che dico? Non si può più uscir fuori in campagna, senza sentirsi intronare le orecchie di banali insolenze indirizzate contro ciò che vi ha di più santo sulla terra. E sono ragazzetti che si trastullano, sono giovinetti già adolescenti che discorrono, e sono padri di famiglia che ragionano: e sono talvolta e troppo spesso le donne medesime che diverbiano: e mischiano loro conversari di bestemmie da trivio, e di espressioni degne dell’inferno !

            Né differenti dal parlare sono le opere. La Scrittura Santa ha notato che il lavoro degli empi per demolire il regno di Dio, è tutto indirizzato a far scomparire dalla terra i giorni festivi: “quiescere faciamus omnes dies festos Dei a terra(facciamo scomparire tutti i giorni festivi di Dio dalla terra). Ma oggi non sono più gli empi soltanto che si affrettano a far onta ai dì festivi: sono i Cristiani praticanti, sono coloro i quali si vantano di aver fede e religione, i quali vanno a gara per profanare i giorni di festa! Una gran parte degli operai e degli artigiani non distingue quasi più la Domenica dagli altri giorni: e si vedono aperte le botteghe ed i negozi, e si sente il rumore di chi lavora nelle officine e nelle fabbriche: e si mirano uomini, ragazzi, donne che senza uno scrupolo al mondo, anche nei dì festivi s’incamminano alle usuali fatiche. Al più, i così detti timorati di Dio, smettono un istante il lavoro, per correre ad una breve Messa: e con quella si credono d’aver soddisfatto al tremendo precetto del Signore “memento ut diem Sabbati santifices!”3 (ricordati di santificare il giorno di Sabato). Soltanto nel pomeriggio si può scorgere un vestigio del dì festivo: ma non già per onorare il Signore, bensì per darsi al solazzo, ed al vizio! Rimangono egualmente quasi deserte le Chiese; ed all’infuori di pochi vecchi e di qualche ragazza, non v’ha chi si prenda la briga di accorrere al Catechismo ed alle sante funzioni. Si popolano invece le osterie e là tra il fumo dei vini e il tintinnio dei bicchieri, la massima parte dei giovani e degli uomini passa il resto di quella giornata, che dovrebbe essere consacrata a migliorare il cuore, a sollevare lo spirito, a dar gloria al Creatore! Le giovanette e le ragazze corrono ai ritrovi, alle passeggiate, ai balli: ed in un ambiente saturo di mollezza e di vanità sciupano quelle ore santissime che dovrebbero essere spese ad ingagliardire lo spirito ed a coltivar la virtù! Ah lasciatemi gridare col profeta: Sono questi, o infelicissimo popolo cristiano, i segni di riconoscenza e d’amore, che tu dai al tuo Dio, che t’ha creato per Se, e continuamente ti ricolma di benefici? “Haecine reddis Domino, popule et insipiens?” (E’ questa la riconoscenza che hai per il tuo Dio, o popolo insensato?).

            Ci avverte l’Apostolo che soltanto per l’udito entra la fede nel cuore degli uomini: fides ex auditu! (la fede dall’udito!) E per questo la Chiesa, premurosa delle anime, impone con leggi gravissime ai ministri di Dio l’onere della predicazione. E se da una parte ci è di somma consolazione il sapere che i Sacerdoti si mostrano solleciti nell’adempimento di questo loro gravissimo ufficio; e fatta qualche rara, quantunque sempre deplorevole eccezione, non v’ha Parrocchia in cui tutte le feste non si spieghi il Vangelo, e non si faccia il catechismo sia ai piccoli che agli adulti: quanto non ci accuora per lo contrario il constatare che alla premura dei Sacerdoti ben poco corrisponde la sollecitudine dei popoli! Incominciando dalle parrocchie di campagna, vi sono non pochi contadini, e molti fra i benestanti che non si credono affatto obbligati ad ascoltare le prediche: e muovono acerbe critiche al parroco, perché non si sbriga mai, perché prolunga troppo il Vangelo, od il Catechismo ed a bella posta se ne stanno fuori della Chiesa a chiacchierare ed a ridere, con grave scandalo e non minore disturbo dei buoni, che pur vorrebbero fare il loro dovere. Altri, ascoltato quel po’ di Messa alla peggio, corrono al lavoro dei campi, colla scusa di non perdere tempo, o di affrettare le faccende d’urgenza; altri mandano i propri figli, anziché alla dottrina, a pascolare le bestie; e non si accorgono che, togliendo ai piccoli il pane della vita che è l’istruzione religiosa, preparano loro un avvenire di iniquità e d’ignoranza ben peggiore della morte. Ma vi è molto di peggio! Non sono pochi quei contadini che attratti dalla speranza di maggior guadagno e d’un più lieto avvenire, anziché ascoltare gli insegnamenti del Vangelo che sono la Parola di Dio, si danno cuore ed anima ad ascoltare le bugiarde insinuazioni e le fallaci promesse degli apostoli dell’errore: i quali sotto lo specioso pretesto di miglioramenti economici, tentano di arreticare le masse semplici ed ignoranti nel laccio fatale di quei partiti politici, che mirano unicamente alla distruzione della fede ed al sovvertimento di ogni ordine sociale! E già se ne scorgono i tristissimi effetti in quel disprezzo ad ogni autorità religiosa e civile, che caratterizza i seguaci delle ree dottrine; non è più il Parroco il padre e il consigliere dei Cristiani; non è più il Vescovo il maestro ed il direttore delle anime: che anzi sono tenuti come insidiatori del bene comune, e meritano osteggiati in tutto ciò che essi propongono. Ai propri desideri anche più sfrenati non si conosce altro limite fuorché le manette ed il carcere: e anche contro di quelli si va auspicando il giorno in cui, col mezzo della rivoluzione sociale, si potrà fare il comodo proprio.

            Che se dalle campagne passiamo ai centri ed alle città, lo spettacolo diventa anche più desolante. Vi sono dei padri di famiglia vere tigri, che proibiscono alla moglie ed ai figli l’entrare in Chiesa: che non solo non ascoltano né la Messa, né la parola di Dio; ma vogliono assolutamente che la loro casa sia una tana di miscredenti: e sono ben  più lieti di vedere i propri ragazzi vagare per le vie per le piazze assieme coi malviventi; piuttosto che saperli in Chiesa ad apprendere dal Parroco i loro cristiani doveri.

            Ve ne sono altri, e sono i più, che completamente trascurano ogni dovere religioso: né si danno alcuna pena per ciò che riguarda la casa, riducendosi tutta la loro missione di padri di famiglia a somministrare settimanalmente quelle poche lire che bastano a condurre stentata la vita. Vi sono non pochi delle classi più elevate che, per un  male inteso spirito di libertà, lasciano i figli quasi completamente in balia di se stessi: perché dicono di non voler violentare la loro coscienza; e non si accorgono che quei disgraziati giovinetti ben presto perdono il fiore dell’innocenza, contraggono abitudini riprovevoli, e si danno ben presto alla mala vita! Altri invece, per vergognoso rispetto umano, non mandano i loro figli all’insegnamento del catechismo nelle chiese: e pur troppo si trovano parecchi di questi figli di famiglie agiate, che sono già sui dieci ed undici anni; e mentre hanno già completato gli studi elementari, e passano nelle scuole secondarie, non hanno ancora imparato le orazioni, né conoscono i primi elementi del catechismo.

            E purtroppo sono questi quei disgraziati che da qui a pochi anni ingrosseranno le file di quegli studenti sciagurati che, perduta ogni fede nelle grandi città danno lo spettacolo nauseante del disordine, dello sciopero, della vita libera, e del malcostume! E poco più in là saranno gli anticlericali di mestiere, rovina della patria ed obbrobrio della società!

            Oh cumulo di rovine che vien preparato alla nostra terra dalla indifferenza religiosa! Ci pensino a tempo i Cristiani, ci pensino i miei amati figliuoli, e ritornino a Dio, se non vogliono piangere quando la sciagura sarà irrimediabile!

            Che se l’indifferenza tiene tanti lontani dalla Chiesa e dalla istruzione religiosa; non li tiene però lontani dal tumulto del mondo, e dall’apprendere le storte massime, gli esiziali errori. L’abbandono di Dio porta necessariamente ad ottenebrare l’intelletto: e se, come dice S. Giovanni, Dio è luce; chi ha quella si sottrae, scende nelle tenebre e nell’ombra di morte. Ed invero col crescere dell’indifferentismo aumentano i pregiudizi, contro la fede, contro la Chiesa, contro le massime dell’Evangelo. Non si possono davvero riassumere in brevi parole, tutti gli spropositi e gli errori madornali che vanno lentamente adagiandosi, a guisa di polvere, dapprima leggera, e poi fitta, sulle coscienze Cristiane.

            E’ doloroso, è paradossale, ma è sciaguratamente vero che molti anche di coloro che pretendono di essere Cristiani Cattolici hanno perduto il vero indirizzo Cristiano e sia nella fede che nella morale hanno fuorviato. Il primo pregiudizio delle persone di qualche educazione è il subordinare la fede ai placiti dell’uomo, ed alle esigenze come le chiamano della società presente. S’è sentito dire perfino da alcuni che alla autorità delle leggi umane debba  sottostare la Religione: quasichè Iddio non sia di gran lunga superiore all’uomo; o che egli non abbia sufficientemente manifestata la sua volontà; od almeno non ci abbia dato garanzie bastanti a prova della sua rivelazione!

            E’ evidente che chi così la pensa ha perduta la fede, ed è già uscito dalla Chiesa di Gesù Cristo. Ma che cosa hanno predicato colla parola, e coll’esempio gli Apostoli, che cosa hanno confermato col glorioso martirio tanti eroi, che cosa hanno insinuato coll’esempio tanti Padri della Chiesa, attraverso alle carceri, agli esilii, alla morte, se non la superiorità della fede e della Religione ad ogni umana potenza? Perché preferirono la morte al rinnegare Cristo, se non per farci comprendere che prima bisogna obbedire a Dio che agli uomini?

            Un altro pregiudizio troppo comune nei nostri paesi è il nessun concetto della Chiesa come istituzione divina. L’autorità veneranda del Sommo Pontefice, Vicario di Gesù Cristo, Maestro infallibile di verità, Padre comune dei credenti, è da molti misconosciuto. La passione politica ha fatto velo alle intelligenze di tanti cattolici; e negli atti; negli indirizzi, nei comandi del Papa altro non vedono che fini umani, che ambizione di dominio, che grettezza di puntiglio.

            Oh se aprissero un po’ gli occhi, e senza preconcetti girassero intorno lo sguardo, e vedessero a quali abissi va rapidamente incamminandosi la società nostra, appunto perché non vuole più ascoltare la voce della Chiesa e del Pontefice! Se mirassero come dovunque rumoreggia l’uragano della rivoluzione sociale, e con quanta rapidità si avanzano minacciose le orde selvaggie dell’anarchia e del settarismo, che minano fin dalle basi ogni legge, ogni morale, ogni principio di ordine e di concordia umana! Se pensassero come al riparo siano oramai impotenti le Nazioni; né valgono più a rattenerne l’urto nemmeno la forza degli Stati e l’autorità delle leggi: dovrebbero piegare il capo, e nella Augusta persona del Pontefice, che, debole ed inerme, ma potente della forza di Dio, in tanto sfacelo di ogni virtù civile e sociale, alza da solo la mano ad indicare la via che è unico rifugio e scampo alla traviata umanità, riconoscere il vero Padre, il degno rappresentante di Gesù Cristo Redentore del genere umano!

            Né minore è il danno dei pregiudizi che corrono riguardo ai Sacramenti ed alle pratiche della vita Cristiana. In tante famiglie Cristiane non si fa più nessun conto delle leggi della Chiesa; non si calcolano più le vigilie ed i digiuni; non si sente più il rimorso per le Messe perdute, delle preghiere trascurate, delle letture perverse, dei teatri immorali, delle mode sfacciate, delle conversazioni libere, delle amicizie sospette: e siamo arrivati a tal punto che i buoni fanno vita comune coi cattivi, i credenti cogli atei, i seguaci di Cristo, con chi lo rinnega. E non è raro il caso di vedere persone che pur talvolta frequentano le Chiese, e si accostano ai Sacramenti, mettersi in società, in compagnia, in dimostrazioni, dove più o meno apertamente si fa guerra a Cristo ed alla religione. La frequenza ai Sacramenti non solo da alcuni non è praticata: ma è anche messa in burla ed in canzonella. Vi sono dei padri e delle madri che dissuadono ai propri figli ed alle figliuole di andare a Messa ed alla Comunione troppo spesso, come essi dicono; per paura che diventino bigotti, e perdono la stima del mondo: quasichè non abbia Gesù Cristo istituito il Sacramento Eucaristico perché sia il pane d’ogni giorno; e non abbia istituito la Confessione perché quale salutare lavacro, rigeneri la coscienza, e renda più forte l’uomo nelle tentazioni.

            Conseguenza legittima e funesta di questi pregiudizi è la rilassatezza del costume, e il dilagare delle immoralità. Non è una esagerazione, no, purtroppo, è una dolorosa constatazione di fatti che cadono sotto gli occhi d’ognuno. Dove più non regna Dio, si erge tiranna a dominare la passione sensuale. Quando la coscienza non è più il santuario della fede, diventa troppo presto la idolatra della carne. Fin dai primi anni della giovinezza una gran parte dei figli e delle figlie viene attossicata dall’aria pestilenziale che ammorba il mondo  moderno. E la sensualità si respira nel lusso smodato di cui si circondano i bambini dalle madri non saprei dire se più vane o cattive; nel culto e nell’adorazione profana, per cui, come, a triste mercato, si conducono quelle innocenti creature a quelle feste dove si premiano i più appariscenti e i più sfarzosamente addobbati: senza pensare che servono queste cose a suscitare in quei cuori innocenti i primi germi della passione, e che si dà così scandalo a quei piccoli, e si incorre nella tremenda minaccia di Gesù Cristo: “Se qualcheduno scandalizzerà uno di questi fanciulli, merita affogato nel profondo del mare”.

            E questa piaga cresce cogli anni, e si manifesta ributtante nel vestire indecente delle giovani e delle donne: nelle procaci e scomposte mode adottate dalle signore; nei balli inverecondi, nei teatri inneggianti alle infedeltà e all’adulterio, nei cinematografi riproducenti le scene del libertinaggio, negli amori infami, causa di tante sciagure e di tante lacrime ai genitori ciechi che non vedono, ed ai figli inesperti che non credono alla loro imminente rovina. Vi si aggiungano i romanzi che nella solitudine dei salotti rodono il cuore alla gioventù sitibonda di avventure e di capricci; i giornali che diffondono ai quattro venti le miserie di tanta parte dell’umanità, la reclame che ha assunto l’impresa del lenocinio ....

            Quindi inarridita la fonte della virtù, scompare da tante fronti l’aureola del pudore; tolta a tante famiglie la pace: oh rovina veramente incalcolabile! Si popolano le prigioni di minorenni guasti e rovinati; si affollano gli ospedali di esseri languenti, ed infraciditi dai vizi: non si desiderano più le caste gioie della famiglia; si paventa la venuta dei figli, come fosse una sciagura, ed il paganesimo ritorna con tutte le sue brutture!

            Venerabili fratelli e dilettissimi figli, voi sapete se il quadro funesto che vi ho tratteggiato risponde o no al vero: e se non sia proprio da ringraziare il Signore che tanta rovina non sia ancora penetrata in tutte le parrocchie della mia Diocesi. Sì, diciamolo a conforto comune e a lode dei buoni: vi sono ancora nelle nostre campagne, e sui nostri monti delle regioni in cui le anime sono ancora immuni dal contagio. Ma purtroppo ve ne sono anche non poche che più o meno ne risentono l’orribile influenza.

            Su via adunque, o diletti figli, finché siamo in tempo prepariamo una difesa al male che ci minaccia. E il riparo è bello e pronto, ed è efficacissimo: ritorniamo completamente a Dio. Ma il nostro ritorno sia pronto e completo.

Convertimini ad me in toto corde vostro” (Joel 2) (Volgetevi a me con tutto il cuore). Dalla nostra residenza Vescovile, 28 Gen. 1913

Né minor conto invero faccio di voi, o persone religiose, che seguendo le massime della cristiana perfezione, con la preghiera, con l’esempio e con l’opera onorate la Diocesi Tifernese: anzi tanto più grande è l’affetto che io vi porto, quanto più per la vostra professione vi avvicinate a Gesù Cristo. O sia che voi lavoriate nella vigna del Signore prestando l’opera vostra negli uffici nobilissimi della cristiana carità, o sia che dai chiostri, come da chiusi giardini, mandiate al cielo i profumi soavi delle vostre preghiere e delle vostre opere sante, voi troverete nel Vescovo il cuore paterno, l’appoggio sicuro, la santa difesa.

Sarei ben lieto se nessuno dei miei figli stesse lontano dalla Comunione in questi giorni: ma poiché tanto non mi sarà dato, possa almeno gioire nel pensiero che la maggior parte dei miei diocesani ha soddisfatto al Precetto Pasquale. Ma io vorrei anche di più: vorrei che in tutte le domeniche i giovanetti e le ragazze si accostassero a Gesù; che non passasse mai il mese senza che gli adulti si fossero riconciliati con Dio ...

Vorrei che in tutte le Parrocchie si istituisse la Confraternita della Adorazione del SS. Sacramento; che i Sacerdoti e laici si stringessero in vincoli di tenerissimo affetto a Gesù, che dall’altare ci aspetta e nell’altare vive per noi.

Raccomando vivamente ai Sacerdoti di fare colla possibile solennità le funzioni della Settimana Santa; ricordo a tutti che dalla Domenica di Passione al Sabato Santo si deve assolutamente coprire ogni croce ed ogni immagine sacra che sta sugli altari; ricordo che non si può per nessun conto, essendo proibito dalla S. Congregazione dei Riti, scoprire in quel tempo nessuna Immagine o Statua, neppure per la ricorrenza di feste o di titolare. Ricordo finalmente che il tempo utile per soddisfare al Precetto Pasquale decorre dalla 3^ Domenica di Quaresima fino alla 3^ dopo Pasqua; che la benedizione delle case si deve fare dal Sabato Santo in poi e non prima.

Ed augurando a tutti ottime feste Pasquali imparto di cuore a Voi Venerabili Fratelli, ed amatissimi figli la pastorale benedizione.

 

Dalla nostra residenza, il 15 Marzo 1914

X CARLO Vescovo

 

 

 

1    “Chiudono i loro giorni in mezzo ai beni, poi vanno placidamente allo Sheol” (testo originario)

2    Ps 48, 13

3    Esodo 20, 8

4    Psalmus 33

 

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