28 Gennaio 1913

 

 

 

Al Venerando Clero e diletto Popolo della Diocesi

 salute e benedizione

 

 

N

ell’avvicinarsi della S. Quaresima e del preziosissimo tempo di Pasqua, l’altissimo officio dal Signore affidatomi mi invita a rivolgervi, o Fratelli venerandi e figli carissimi, la parola di Padre e Pastore. E con tanto maggior impegno assumo io questo sacro compito, quanto più gradita e più bella è l’occasione che mi si offre. Nessuno certo di voi ignora come in questa primavera si compie il XVI Centenario di quel fortunatissimo giorno nel quale l’imperatore Costantino dava finalmente con pubblico decreto piena libertà alla Cattolica Chiesa. Erano passati oramai tre secoli di lotte angosciose, di persecuzioni cruente, di martirii inauditi e la Sposa del Redentore con indicibili stenti aveva steso il suo dominio di pace e d’amore su grandissima parte del mondo allora sconosciuto: ed anelava all’istante nel quale, uscendo dalle Catacombe e dal mistero, avrebbe potuto spiegare al sole i suoi vessilli ed indisturbata allargare le sue pacifiche tende. Indarno gli ultimi imperatori Romani avevano tentato con ferocia di belve di distruggere l’opera di Gesù Cristo: né morti, né esilii, né torture inaudite hanno potuto arrestare il suo glorioso cammino. Il sangue dei martiri era semenza di credenti, era onore ambito di eroi: e la potenza Romana dovette accorgersi, che al di sopra della violenza e della forza brutale, c’era un’altra virtù che imponevasi: la virtù della Croce. Dio stesso ha voluto col prodigio confermare questa verità, che non volevano assolutamente ammettere gli accecati fautori del paganesimo: e quando nel volgere dell’autunno del 312, l’Imperatore Costantino, con esercito inferiore assai di numero e con posizioni meno favorevoli dell’avversario, accingevasi a dare battaglia definitiva al crudele tiranno Massenzio, che nefasto pesava su Roma; mentre dalle Gallie scendeva in Italia, poco dopo il meriggio fu vista dall’imperatore e dai soldati brillare nel cielo fulgidissima la croce col motto fatidico: In questo vincerai.

La sacra insegna ed il monogramma di Cristo furon posti sulla bandiera dell’esercito di Costantino, e furono di augurio felice: poiché fu sbarragliato l’esercito dell’oppressore, Massenzio trovò la morte fra le onde del Tevere: ed i Romani cantando inni di trionfo e di gratitudine accolsero quale liberatore desiderato Costantino stesso, e gli innalzarono a imperitura memoria quell’arco trionfale che ancora sussiste nelle vicinanze del foro.

Da quell’ora più miti passarono i giorno pel Cristianesimo: e prima fu emanato il decreto che proibiva di più perseguitare i Cristiani per la loro fede: di poi fu dato ordine di restituire loro i beni che per ragione della loro religione erano stati confiscati, e da ultimo nel Maggio del 313 col famoso decreto di Milano la religione Cristiana veniva pubblicamente riconosciuta concedendo ai suoi seguaci pienissima libertà di innalzar templi, d’aprire scuole, di posseder beni, anche collettivamente, a scopo religioso. Né qui arrestossi la pietà del saggio Imperatore; che egli stesso coll’esempio e coll’opera cominciò a fabbricare in Roma ed altrove quelle superbe basiliche, che per memoria imperitura portano ancora il suo nome.

E’ ben giusto pertanto che noi tardi nepoti di quei fortunati cristiani, ch’ebbero la ventura di assistere a così inaspettati trionfi, ricordiamo con giubilo la data memoranda, e con straordinarie solennità e manifestazioni di fede, ci uniamo in ispirito ai padri nostri per ringraziare il Signore di quel segnalato beneficio, di cui risentiamo ancora i preziosi effetti: e per rincorarci a combattere con vigorìa tutta nuova le battaglie d’oggi, che non differiscono gran fatto dai combattimenti dei padri in quei tempi burrascosi, colla speranza sicura di vedere di nuovo sul mondo, vergognosamente un’altra volta paganeggiante, brillare la croce, simbolo divino di vera libertà.

Non oziosamente ho detto che i combattimenti d’oggi hanno molti punti di contatto con le antiche battaglie fra il paganesimo ed il Cristianesimo. Basta infatti considerare quali siano le tendenze e le aspirazioni dei nemici del nome Cristiano, coi quali ci tocca vivere; per comprendere subito come esse null’altro siano se non le dissepolte aspirazioni e tendenze del paganesimo antico. In sostanza oggi si reclamano i diritti dell’uomo al di sopra di quelli di Dio: si vuole che la società umana sia affatto indipendente dalla religione; si vuole che la norma di vivere non sia più attinta alle purissime fonti della rivelazione Cristiana, ma ai placiti ed ai gusti di una filosofia sensuale, basata sulle teoriche strane e contradditorie d’una scienza fallace, che appunto perché basata sulla ragione umana, senza il concorso della luce divina, va brancolando nel buio, e rievoca come scoperte recenti, tutte le pazzie dell’abbattuto paganesimo. L’eternità della materia sognata da Epicuro viene oggi presentata ai dotti come frutto di recenti studi sotto le seducenti forme del monismo; la negazione della spiritualità e dell’immortalità dell’anima propugnata un dì da Lucrezio, si spaccia come frutto delle scienze biologiche e del novello materialismo; il culto divino, prestato ai simulacri degli antichi imperatori Romani, sotto forme diverse, ma egualmente brutali, si propone oggi col concetto assurdo e tirannico del Dio-Stato a cui tutto deve piegare compresa la coscienza e l’anima dei cittadini.

Così la degradazione della famiglia, l’abbrutimento della donna, i sozzi misteri di Cerere e di Eleusi, si ripresentano sotto la forma del divorzio e del libero amore; l’immoralità più sfacciata delle orgie pagane, torna in onore nelle produzioni del teatro, della pittura, della scoltura, della poesia e del romanzo, bugiardamente mascherate come omaggio all’arte. Le proscrizioni, gli esillii, le torture hanno il loro raffronto nella guerra aperta ad ogni istituzione Cristiana; nell’escludere a bello studio i cattolici dalla vita pubblica, nel segnarli a dito col sogghigno e col disprezzo; nel cancellare il nome di Cristo e dei Santi dalle strade, dalle piazze, dai pubblici luoghi di beneficenza: nel togliere l’idea di Dio dalla scuola, e nel mettere in mano ai bambini libri e testi rigurgitanti di bestemmie contro Dio e contro la chiesa; nel negare l’esistenza giuridica alle associazioni religiose, nel togliere alla Chiesa il diritto di possedere e di amministrare i proprii beni. L’eccitamento all’apostasia, e le bugiarde promesse di felicità terrena che facevano i pagani ai martiri perché rinnegassero Cristo, hanno un parallelo anche troppo manifesto negli onori, che si danno ai preti apostati, ai rinnegati che ottengono con tanta facilità cariche e posti lucrosi; nelle promesse e nei favori che vengono elargiti con tanto studio agli ingenui perché concorrano col loro voto a collocare nei pubblici poteri i traditori della religione ed i fautori dell’incredulità e delle sette. Non siamo ancor giunti alle morti violente; ma le prigionie e gli esigli ai pacifici cittadini ed ai sacerdoti intemerati, di null’altro rei che di essere fedeli alla religione ed alla Chiesa, sono largamente esercitati qua e là, dove le sorti degli stati sono cadute in mano di questi pagani redivivi, come recentemente si vide nella Francia e nel Portogallo, e come si vedrebbe domani nella nostra Italia, se arrivassero al potere i tenebrosi alleati della nefanda setta massonica.

Vedete adunque o fratelli e figli carissimi, se a ragione non dobbiamo noi in quest’anno, che ci ricorda la liberazione della Chiesa dal giogo del paganesimo, con tutta l’effusione dell’animo stringerci attorno alla Croce, e con maggiore impulso manifestare la nostra fede. Lo dobbiamo fare prima di tutto perché Dio pietosissimo in vista del nostro rinnovato fervore, ci conceda la grazia di poter trionfare anche da questi nuovi assalti mossi alla nostra Religione Santissima; lo dobbiamo fare anche perché l’esempio nostro abbia da scuotere dal loro letargo quei moltissimi cristiani, che assopiti o dall’ignoranza o dalla pigrizia non s’accorgono del pericolo che ci sovrasta; lo dobbiamo fare da ultimo perché coloro, che sono chiamati a reggere le pubbliche sorti, abbiano a comprendere che i cattolici sono ancora  in numero tale e di tale fermezza nella propria fede, da non potersi opprimere o trascurare senza pericolo di fare gravissimo affronto alla volontà della nazione.

Sarà quindi cura precipua di ogni Parroco l’adoperarsi con tutto lo zelo sacerdotale per far comprendere al popolo alle sue cure affidato, l’importanza delle solennità che ci accingiamo a celebrare: e a fare in modo che almeno qualcheduno della propria cura prenda parte allo straordinario pellegrinaggio che faremo a Roma nella prossima primavera.

Anche nella nostra Diocesi poi faremo feste, più che ci sia permesso, solenni; e fin d’adesso ogni Parroco cerchi di disporre i suoi figliani perché si preparino a venire numerosissimi alla Città nel tempo che sarà fissato per queste feste straordinarie. Il luogo ed il modo sarà a tempo opportuno a voi comunicato.

Ma perché il ricordo di una ricorrenza sì cara abbia a produrre frutti più ubertosi, è necessario un lavoro ben più profondo ed assiduo. Bisogna mettere ogni sforzo nel far rivivere in mezzo al popolo il vero spirito cristiano cattolico; bisogna togliere i pregiudizi e l’ignoranza, che tanto hanno offuscato nel popolo lo spirito religioso. Si grida da ogni parte che è affievolita la fede: e non sono davvero pochi coloro che sembrano averla completamente perduta. Ma poco giovano i lamenti e le recriminazioni, se clero e popolo non si mettono di comunissimo accordo ad un provvido lavoro di ristorazione religiosa.

E prima d’ogni altra cosa bisogna richiamare alla mente di tutti la verità di nostra santa fede, le santissime leggi di Dio e della Chiesa, i precetti e le norme della morale Cristiana. E’ mestieri convincersi che una gran parte del nostro popolo è affatto digiuna delle verità Evangeliche: dopo quel poco che hanno imparato da bambini, null’altro hanno appreso di ciò che riguarda Dio e anima: e quindi hanno preso l’abitudine di vivere come Dio non ci fosse.

Alla ignoranza delle verità fondamentali della fede si aggiunsero poi errori e vizi appresi o col contatto, così frequente oramai coi miscredenti, o col emigrare in paesi acattolici; e non fa meraviglia se molti bestemmiano quella fede che non hanno mai conosciuta. Deve quindi essere cura costante di ogni pastore d’anime l’applicarsi con assiduità da apostolo al ministero della predicazione: bisogna predicare sempre, predicare a tutti, non istancarsi mai. Il popolo cristiano abbisogna del pane della parola: essa sola è la forza segreta a cui Dio da l’impulso per ravvivare la fede. Bisogna che fioriscano le scuole del catechismo: e perché ciò avvenga è necessaria una gara costante fra parroco e parrocchiani per animare la gioventù ad imparare bene la dottrina Cristiana.

A questo scopo santissimo il sapientissimo Padre che regge le sorti della Chiesa, l’immortale Pio X, ha fatto comporre il nuovo Catechismo che nella brevità delle formole, nella semplicità delle risposte, nella precisione delle espressioni è fatto apposta per illuminare le menti anche più rudi e per sfatare gli errori anche più moderni. E siccome è desiderio vivissimo del grande Pontefice che tutti i Vescovi d’Italia adoprino il nuovo testo e lo addottino nelle proprie Diocesi, così anche noi ordiniamo che dentro l’anno 1913 in tutte le parrocchie sia diffuso il nuovo Catechismo, e che col prossimo anno 1914 rimanga sospeso qualunque altro testo, che sia stato adottato fin qui.

Ma ben poco vale la dottrina e la predica, se non mettiamo anche ogni studio nella riforma dei costumi, e nel far rivivere la pietà cristiana. Pur troppo la rivincita del nuovo paganesimo su tante anime è dovuta alla rilassatezza del costume ed alla dimenticanza completa delle pratiche Cristiane. La bestemmia e l’immoralità fanno strazio in tanta parte del nostro popolo: la sete del guadagno, l’avidità del piacere, la cura soverchia dei beni del corpo a scapito di quelli dell’anima, l’abbandono dei sacramenti e della preghiera hanno travolto lo spirito cristiano. Bisogna tornare a Dio, o dilettissimi figli; e bisogna tornare con tutto il cuore! Bisogna distruggere in noi il regno del peccato, perché chi a questo si abbandona, ne diventa schiavo; bisogna apprezzare la grazia che è vita dell’anima; e ricordarci che chi l’ha perduta è nemico di Dio, e non può aspettarsi il suo aiuto. E contro il peccato deve alzare assiduamente la voce il Sacerdote: “clama, ne cesses: quasi tuba exalta vocem tuam!”1  (Grida a squarciagola, non desistere: come tromba alza la tua voce!) Sì, o cari fratelli Sacerdoti, bisogna accendersi di fuoco santo di zelo, per togliere le anime dalle fauci del Demonio: bisogna strappargli palmo palmo il terreno; bisogna non istancarsi né giorno né notte, se occorre, per ricondurre a Dio le pecorelle traviate. E siccome il primo mezzo di santificazione sta nei sacramenti, così bisogna inculcarne frequentissimo l’uso. Benedette quelle Parrocchie dove si è introdotto il bel metodo della confessione e della Comunione frequente!

Dall’altare, dove Gesù vive nel Sacramento Eucaristico, parte la fiamma che deve purificare tutta quanta la terra. A quell’altare adunque affrettiamoci tutti; di quel Pane di vita cerchiamo di pascerci ogni giorno; e non ci sia Chiesa in tutte le Diocesi, ove passi anche un dì solo, senza comunioni.

Ma, come arra di vittoria per Costantino fu il Labaro, che portava impresso il monogramma di Cristo, così anche noi dobbiamo avere la nostra insegna che ci stringa in Esercito invincibile, che ci renda terribili ai nemici. E l’abbiamo la nostra insegna; il nostro Labaro deve essere il Papa!

Il Papa è il Vicario di Gesù Cristo, è la sua viva immagine che ci parla, ci ammaestra, ci guida. Con Lui è vita e vittoria; da Lui lontano c’è la confusione e la morte. Lo sanno i redivivi pagani, lo sanno i Massoni ed i settarii; ed è per questo che mettono ogni loro sforzo per distaccarci da Lui. Cattolici tutti della mia diocesi, sacerdoti e laici intendetelo bene. Se vogliamo che Cristo trionfi dobbiamo essere uniti col Papa: uniti di cuore, di anima, di pensiero, di azione. Egli è Maestro, e noi siamo discepoli; Egli è guida, e noi lo seguiamo. Senza distinzioni, senza sottintesi, senza limitazioni, obbediamo al Papa. Chi non è con lui in tutto e per tutto, non è cattolico, non è cristiano. Il Papa ha ricevuto da Dio la Missione di guidare la Chiesa; volere insegnare a lui è usurpare quel potere che Cristo ha dato a Lui solo. Quindi, se vogliamo giungere più sicuri al trionfo della nostra santa causa, mettiamoci come figli obbedienti nelle mani del Papa: stiamo pienamente sottomessi ai suoi santi indirizzi, non solo in ciò che riguarda la fede, ma anche in tutto il nostro operare. Amiamolo il Papa, ed amiamolo di vero cuore; che nell’amore del Papa si compendia il più nobile, il più sicuro dei programmi: il programma Cattolico.

Ed è con questo santo pensiero che io chiudo la mia lettera, e del profondo dell’animo vi desidero dal Signore ogni bene, mentre v’imparto la Pastorale Benedizione.

 

Dalla nostra residenza Vescovile, 28 Gen. 1913

X CARLO Vescovo

 

 

 

1    Isaia 58, 1

 

Salva Segnala Stampa Esci Home