15 Marzo 1911

 

 

 

 

Al Venerabile Clero e Dilettissimo Popolo della città e Diocesi. 

Salute e benedizione dal Signore

 

 

 

 

M

i gode l’animo, dilettissimi fratelli, figli in Gesù Cristo, di annunziarvi che si avvicina il tempo prezioso delle solennità Pasquali: e che per benigna concessione del S. Padre Pio X, dalla vicina festa di S. Giuseppe che sarà Domenica prossima si apre in tutta la Diocesi il periodo entro il quale ogni cristiano è tenuto ad accostarsi a ricevere i S. Sacramenti. Questo periodo durerà a tutta la domenica 7 maggio p.v. consacrata al patrocinio del medesimo santo.

Nel darvi così bell’annuncio, mi sento nascere in cuore una cara speranza: che cioè la massima parte dei miei figli approfitterà di giorni così propizi per accostarsi al Signore per ringiovanire nella grazia, per spogliarsi dell’uomo vecchio ed indossare l’uomo nuovo, che, a detta dell’Apostolo, è formato secondo il cuore di Dio.

Sì, o amato mio popolo, è questo il tempo accettevole: sono questi i giorni di salute. La misericordia del Padre, che è nei cieli, a braccia aperte ne invita: e la Chiesa, interprete fedele de’ suoi voleri, con  gemiti di tenerissima madre, ci ripete le parole sempre soavi: Convertitevi a me, dice il Signore, ed io mi rivolgerò a voi: se le vostre iniquità fossero nere come l’ebano vi farò candidi come la neve. Abbandoni il colpevole la disastrosa strada percorsa: e l’uomo peccatore si stacchi dai suoi affetti perversi. Venite a me tutti, vi ripete Gesù Cristo, voi che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. Se il peccato può apportare qualche istante di piacere, non dà e non darà mai la pace durevole: poiché sta scritto che non vi è pace per l’empio: mentre indicibili sono le gioie che Iddio tiene preparate per chi ritorna al paterno suo cuore.

Ma d’altra parte, o figliuoli, un pensiero terribilmente mi angustia: ed è che la voce di Dio non arriverà certo sino alle orecchie di tanti, che con i loro traviamenti di mente e di cuore si sono resi insensibili agli influssi della grazia e, accecati dalle passioni, hanno soffocata nel proprio cuore la fede.

Poveri disgraziati! Hanno abbandonato me, dice il Signore, che sono fonte di acqua viva, e si fabbricarono delle cisterne, cisterne guaste, che non possono contenere acqua che li disseti. Il loro peccato, peccato grande è la superbia. Si dimenticarono di essere polvere e nulla: alzarono la testa altera: e si misero a cozzare con Dio. Con le loro corte vedute, hanno fissato la luce ineffabile delle verità eterne, e, perché la trovarono abbagliante, hanno chiuso gli occhi, affermando che nulla si vede. Ecco la sorgente infausta della incredulità de’ nostri giorni. Per oscurare il sole della verità di Dio rivelante, si è alzato il fioco lumicino della ragione umana; e non si sono accorti i meschini, che con questo non si discernono bene nemmeno gli oggetti più vicini a noi. E così, tenebrae factae sunt, per universam terram!1 (E vennero le tenebre, in tutta la terra!)

Che confusione di idee! Che turbamento di ordine! Che guasto nel costume! Si rinnova la scena della torre di Babele: gli uomini con la scienza bugiarda hanno tentato d’innalzare un edificio che cozzi con le nuvole e li sottragga all’influsso della divina legge: e l’Onnipotente, che debella i superbi, ha mandato la confusione del linguaggio!

Conseguenza legittima di questo primo peccato, peccato anch’ esso, e non minore è la corruzione del costume. Perché gli uomini non vogliono più Dio per padrone, di necessità ne hanno trovato un altro, ed oh quanto crudele! Tradidit illos in reprobum sensum (Li ha consegnati al loro sentimento perverso).

Effetto della smisurata alterigia, causa di accecamento, il più dannoso è la sensualità. Le orge del paganesimo, l’abbrutimento proprio della idolatria vengono a poco a poco rimessi in onore. Alle caste gioie della famiglia cristiana si è sostituito il culto della antica Venere, con tutte le sue nefandezze. L’adulterio, l’inganno, il tradimento sono diventate galanti avventure, di cui si fan belli tanto i membri delle classi più agiate, che i figli del campo e dell’officina. Profanata l’innocenza dei piccoli con le pitture oscene, con le sculture invereconde, con le illustrazioni impudiche: tentata la riserbatezza dei giovani con i  giornali amorosi, con i racconti erotici, con i romanzi licenziosi: scossa la fedeltà dei coniugati, con i drammi passionali, con le tragedie dell’adulterio, con le rappresentazioni dell’infamia. E, per colmo di ironia, si ha il coraggio brutale di chiamar tutto questo con il nome lusinghiero di conquiste della moderna civiltà.

Ed intanto cresce l’ignoranza, si moltiplica il numero di chi non altro vuole che godere la vita: alla sobrietà del lavoro si sostituiscono i tumulti sociali: accorti arruffapopoli accendono nelle plebi odii selvaggi: la società umana è scossa dai suoi cardini: ai diritti decantati della ragione, subentra quello brutale della forza. Dove si andrà?

Non è difficile intravederlo: l’antico paganesimo finiva nelle stragi e nel sangue, il moderno paganesimo, se non si ritorna a Cristo, non avrà certo fine migliore.

Amati fratelli, e figlioli, vi pare o no che un quadro così fosco corrisponda alla verità delle cose? E non è vero che anche noi ci risentiamo, e non poco, di questo sconvolgimento morale e sociale di cui è malato il mondo?

Perché adunque non sembri che mentre il gregge corre tanto pericolo, sia sonnolento il Pastore, lasciate al Vescovo che tanto vi ama libera la parola: ed accettatela come la voce d’un amico il più fido che vi distoglie da un gravissimo precipizio.

Torniamo a Dio, torniamo a Cristo, torniamo alla Chiesa!

L’impresa è tale che ha la preminenza su qualunque altro affare: né ammette indugi. E prima di tutto, mi rivolgo a Voi, Venerabili fratelli Sacerdoti! Voi siete la luce del mondo, voi sale della terra: quod si sal evanuerit, in quo salietur? Ad nihilum valet ultra, nisi ut mittatur foras et conculcetur ab hominibus2 (ma se il sale diventa scipito con che gli si renderà sapore? A null’altro è buono che ad essere buttato fuori e calpestato dagli uomini). Queste parole, rivolte da Gesù Cristo agli Apostoli, sono di gravissimo avvertimento per noi. Noi siamo luce del mondo: dunque è nostra missione, nostro preciso dovere rischiarare queste tenebre fitte con lo splendor delle evangeliche verità. Studiare e predicare: ecco il mezzo. Né bisogna stancarsi, né perdersi di coraggio. Clama, ne cesses: quasi tuba exalta vocem tuam; et annuntia populo meo scelera eorum, et domui Iacob peccata eorum3 (Grida a squarciagola, non desistere: come una tromba alza la tua voce: e dichiara al popolo mio i loro delitti e alla casa di Giacobbe i loro peccati). Studiare sempre, come non si dovesse morir mai e studiar bene: e lo studio deve essere preceduto ed accompagnato dalla preghiera. San Tommaso d’Aquino ha imparato assai più ai piedi del Crocefisso, che sui volumi dei filosofi. E nello studio guardarsi assai dalle fonti avvelenate dell’errore: guardarsi dalla novità pericolosa delle dottrine: guardarsi da quelle tendenze e da quegli autori che sono proscritti dall’infallibile magistero della Chiesa. In cambio, di concedere troppo ad una critica razionalista che cerca di impugnare le fonti della rivelazione, raddoppiare lo studio per mettere al nudo la fallacia di questa critica cogli argomenti della tradizione, dei Padri, della archeologia cristiana: e non lasciarsi sedurre dalle apparenze.

Predicate sempre: predicate a tutti: predicate le verità eterne: e non coi fiori della vana retorica, ma colla persuasiva che proviene da una convinzione profonda, e da una santità di vita specchiata. Spezzare ai piccoli il pane della divina parola: raccogliere i semplici ed animarli al bene cogli esempi della vita di Gesù Cristo. Catechizzare tutti in chiesa e fuori di chiesa: il sacerdote deve predicare dappertutto: e dovunque vada deve lasciare dietro di sé il profumo di Gesù Cristo. Il cuore del sacerdote deve essere pieno di carità: e non deve tralasciare nessun mezzo, nessuna santa industria per arrivare a tutti: ricchi, poveri, giovani, vecchi, credenti, increduli, giusti, peccatori.

All’apostolato della parola, aggiungiamo, fratelli, quello più potente dell’esempio, Sacerdos alter Christus! (Il Sacerdote alter Christus!)Noi non saremo certo sale della terra, se dal nostro portamento i fedeli non riporteranno continua edificazione. La nostra vita intemerata deve ispirare ai fedeli la massima riverenza, e la massima confidenza. Guai se si potessero applicare a noi le parole di Cristo ai sacerdoti dell’antico patto: secundum opera eorum nolite facere enim dicunt et non faciunt!3 (non vi regolate sulla loro opera: dicono, infatti, e non fanno) Il prete deve essere il Vangelo personificato: perché il popolo guardando a lui, impari come deve vivere.

Ed ora a voi, che la provvidenza ha collocati in una condizione più agiata: a voi o ricchi, a voi o padroni, a voi insomma che o per censo o per educazione avete sul popolo qualche preminenza. Colla libertà dell’Apostolo, e coll’affetto del padre, io vi grido: torniamo sinceramente a Dio. Bisogna pure confessarlo: non poche volte lo spettacolo della incredulità e della vita licenziosa è partito dai grandi: da coloro cioè che hanno il preciso dovere di dare il buon esempio. La piaga che corrode la vostra classe è il rispetto umano: l’incentivo più terribile a rompere ogni freno a rovesciare ogni legge è l’indifferenza religiosa, e la vita quasi pagana di tanti ricchi, di tanti dotti, di tanti alto locati nella scala sociale. Se l’operaio, se il contadino, se l’artigiano trovassero sempre nel padrone, nel superiore l’esempio di una vita cristiana, e di una carità evangelica, non ci sarebbero tante lotte di classe, non ci sarebbero tante rivolte. Regnerebbe l’amore in cambio dell’odio: ci sarebbe la reciproca corrispondenza in luogo dell’avversione sistematica. Errore fondamentale delle classi più agiate e più colte, è l’avere preso la religione nostra santissima come un partito: e il non volersi capacitare che la fede e la vita religiosa è sopra tutti i partiti. Non pochi dei nostri ricchi, dei nostri dotti, dei nostri cittadini anche del ceto medio hanno ancora nel sangue il bacillo dell’anticlericalismo. Avvezzi a sentirsi ripetere da tanti libri, da tanti maestri di errore che la religione cattolica è nemica della libertà, ostile alla cultura, avversa allo stato: vogliono essere cristiani, ma senza Cristo; cattolici ma contro il Papa; religiosi ma lontani dal prete. Ma in nome di Dio aprano una buona volta gli occhi; e guardino essi stessi in faccia questa religione, che pur dicono di professare: la studino senza preconcetti, e si ricrederanno. Che cosa vi ha di vero in tutte le accuse che ci vengono fatte? La Chiesa Cattolica vuole la libertà, ma non licenza: vuole la scienza, ma richiede che non esca dai suoi confini per combattere la fede: vuole lo Stato: ma nello stato domanda che sia garantita la libertà del suo ministero: e che il Venerando suo capo, il Papa sia indipendente, perché, non sia in balia di coloro che, a seconda dei partiti, possono mutare le leggi. E ci pare che siano troppe le pretese? Non si accorgono costoro, che proprio l’anticlericalismo li ha fatti schiavi, li ha resi impotenti, li ha condotti prigioni? Hanno paura della religione, perché amano la libertà? Ebbene: dicano un poco, se, messa da parte la religione, di vera libertà rimanga più briciola. Siamo diventati schiavi delle sette: servi della massoneria. Nei covi tenebrosi delle logge si maturano i destini della società. Solo a prezzo di quel vile servaggio si sale alle cariche, si ottengono gli onori, si giunge all’impiego. Il santo nome di patria, che congiunto alla religione formò la gloria degli avi, non ha più senso. In più di uno Stato, il nome di patria è sinonimo della consorteria che ha guadagnato il potere: e chi non divide le idee di quella, è nemico della terra che lo vide nascere e che l’alberga. E non è schiavitù questa? Scossi gli immutabili principii della morale cristiana: le leggi dipendono dal capriccio dei legislatori, che nel dettarle non hanno altra norma da quella in fuori delle circostanze che assicurino loro il mestolo del potere. La Famiglia, i figli, la proprietà la vita stessa degli individui, non ha altra garanzia che i diritti legali mutabili col momento politico: domani tutto può essere travolto. E questa è la libertà fuori della religione.

 

E’ di moda fingersi miscredenti, per comparire scienziati. Suvvia dite i risultati che ha dato la scienza combattendo la fede. Letteratura ed arte, che ingentiliscono l’uomo, sono scese nel fango. Se è vero che il bello, il buono, l’utile devono essere fine d’ogni cultura, mi dicano gli intellettuali, fatto divorzio dalla religione dove siamo andati a finire. Arte e letteratura non hanno saputo ispirarsi ad altri concetti che non siano gli incentivi delle passioni ignominiose: nella pittura, nella scultura il più in verecondo verismo nella poesia l’amore tante volte delittuoso, sempre eccitante alla immoralità: nella letteratura il romanzo a base di adulteri, di tradimenti, di suicidi, di delitti; nella storia la forza continua di travisare i fatti al servizio dei biechi fini di chi la scrive, e di chi vuol farla studiare. Nella filosofia il pervertimento del senso comune eretto a principio; la negazione della libertà umana, e quindi la irresponsabilità delle azioni anche le più colpevoli, il materialismo, il naturalismo, e tutte le aberrazioni dell’antico paganesimo rimessi a nuovo, e ritornati in vigore. Nelle discipline fisiche e naturali le ipotesi più strampalate e più pazze per ispiegare i fenomeni sia pure contro l’esperienza, purché sia contro la fede, e la tradizione cristiana. In tutto poi il vieto sistema di volersi imporre, di dichiarare dimostrato ciò che non è se non supposto; il dogmatismo scientifico innalzato di fronte al dogma religioso. Ormai non è più grande se non ciò che è pagano, non è più vero se non ciò che cozza cogli eterni veri, non è più bello se non ciò che abbrutisce.

Redivivi discepoli dell’imperatore Giuliano Apostata, gli studenti d’oggidì, si credono liberi perché non riconoscono più freni alla lor cupidigia. Col libero pensiero hanno preteso nientemeno che togliere le basi del pensiero istesso, cioè i principii della legge naturale, buttando l’umanità nello scetticismo il più desolante, ed il più disastroso.

Non pochi a dir vero tra coloro che hanno avuto qualche coltura, e che non sono asserviti alla setta, vedono l’orribile precipizio in cui la società umana vorticosamente si getta, e tenterebbero in qualche modo metter argine al male che dilaga. E qua o là si sente parlare di morale, di onestà, di principii: sorgono società ed istituzioni per salvare la gioventù, per riformare il costume, pel ritorno insomma alla virtù troppo avvilita e dimenticata. Sono signori, sono venerande matrone, sono giovani dai nobili impulsi. Ma riusciranno a qualche cosa? Vi è l’ultimo ostacolo: vi è la paura di passare per clericali. E quindi più che a mettere basi solide di riforma, si pensa a distinzioni e suddivisioni a tergiversazioni che non lascino trapelare nell’arduo lavoro il necessario ritorno alla religione Cattolica. Tanta è la potenza dei preconcetti! E non si accorgono che soltanto nello schietto professare della fede può avere consistenza il desiderato rinsavimento. Morale senza Dio, è contraddizione in termini: perché morale è norma di operazione, è legge: e nessuna legge può vincolar l’uomo, se questi non riconosce una autorità nel nome della quale essa venga promulgata. Ma quale autorità, tolto Iddio, ha più valore sulla terra? In nome di chi parla essa, se non ha una forza che obblighi la coscienza? O sognano ancora che vi possa essere una moralità fondata sulla civiltà, sul progresso, sui bisogni sociali? E non basta forse annunziare questa proposizione per vederne la fallacia? Non abbiamo qui chiara una petizione di principio, un ritornello sofistico? E’ chiaro che civiltà, progresso, bisogni sociali nascono dalla moralità: come potrà essa provenire da quelli? Suvvia, dunque, senza sottintesi torniamo alla fede, alla pratica religiosa. Uscite, o signori, o ricchi, o dotti, o rispettabili persone del ceto più elevato: uscite dal vostro pauroso letargo; lasciate il rispetto umano: tornate alle Chiese, alla pratica dei Sacramenti, alle prediche: lasciate gridare la teppa, e chi su di quella ha fondato il suo potere: riviva il Cristianesimo, e con esso vivrà la pace domestica, la vita civile.

 

Ed ora mi rivolgo al mio caro popolo del ceto inferiore: a voi o artigiani, a voi operai, a voi figli del campo e delle officine.

Nel rimirarvi mi muove un senso di amore tenerissimo, di rispetto profondo, di sincera pietà. Voi siete il mio ceto, voi la classe a cui mi vanto di appartenere e come uomo, e come Vescovo. Voi siete la forza della società, voi siete le braccia della grande famiglia umana. Il divorzio da Dio nelle classi superiori è stata la causa più potente del vostro abbandono. Finché regnava Dio nel cuore dei padroni e dei ricchi, essi furono padri per voi: ed il troppo disprezzato medio evo ne ha date splendide prove. Ma da poi che Lutero sostituiva la ragione alla fede, cominciò quella profonda divisione fra il capitale ed il lavoro, che ebbe il suo disastrosissimo epilogo nella rivoluzione francese, dove la proclamazione dei così detti diritti dell’uomo, sostituì l’egoismo alla fratellanza umana basata sul Cristianesimo. Cari operai: i vostri assassini vi parlano spesso dei roghi, degli eculei, delle prigioni che la religione approntava in altri tempi: ma non vi dicono mai delle oppressioni, delle stragi, del sangue dei vostri padri versato per opera dei loro antichi maestri e corifei. Non vi raccontano come appunto l’abbandono della religione da parte dei potenti ha prodotto le tirannie più feroci e si guardano bene dal manifestarvi tutti i delitti e gli orrori che si compirono in nome di quella libertà e fratellanza ed eguaglianza di cui si dicono apostoli. Voi siete una forza: ma i vostri decantati amanti, camuffati da socialisti, da riformati, da radicali vi vorrebbero forza bruta nelle loro mani, per guidarvi non già alle conquiste dei vostri diritti, ma a preparare per loro i comodi scanni dei pubblici poteri. E siccome voi non sarete mai abbastanza brutali, finché sarete Cristiani: così tentano di strapparvi la fede offrendovi il pane. A somiglianza di turpe lenone che approfitta della povertà d’un’onesta creatura per indurla a prevaricare, e le mostra l’oro chiedendole l’onore, codesti seduttori vi dicono: Seguiteci: lasciate il prete, abbandonate la fede, stringetevi a noi: vi faremo ricchi, diventerete padroni.

 

Ma, per pietà, miei figlioli, non vi lasciate ingannare. Il diritto di proprietà, che essi vi dipingono come vostra oppressione, è invece l’unica vostra salvaguardia: tolto di mezzo quello voi diventerete schiavi dei vostri seduttori. Tolto Dio, tolta l’anima, tolta la Cristiana morale: la vostra vita, le vostre braccia, le donne, i figli vostri saranno in balia del più forte: e voi sarete carne da macello.

Oggi vi fanno luccicare dinnanzi allo sguardo l’oro del ricco, dicendovi che voi ne siete i legittimi padroni domani, quando fosse avvenuta la rivoluzione sociale da loro desiderata, a voi resterebbe il forzato lavoro, ed in loro potere il darci pane o farci morire di fame. Contadini, operai, braccianti, unitevi in Cristo; unitevi sotto la bandiera della croce, unitevi sotto l’usbergo della Cristiana morale. Uniti sarete una forza per resistere ai potenti che congiurassero ai vostri danni; ma uniti sotto l’usbergo della Croce sarete ancora garantiti dai soprusi di chi vi guida alle vostre giuste rivendicazioni. All’opera dunque: stringiamoci, e subito, in una disciplinata falange, e colla croce in mano avanziamoci a far trionfare la causa della giustizia. Ogni paese, ogni parrocchia istituisca e subito il circolo operaio cattolico; vi sia a base il mutuo soccorso; vi siano conferenze per istruirsi nelle verità religiose, e nei giusti diritti e doveri sociali. Si raggruppino in questi circoli i membri migliori della parrocchia: al prossimo Maggio ci troveremo uniti a congresso qui nella nostra Città. Studieremo assieme il da farsi: e Dio sarà con noi. Crescano i circoli giovanili cattolici di azione: ogni parrocchia abbia il suo. Anche se piccolo, anche se di pochi membri, esso crescerà e porterà il suo frutto. Intanto incominciamo da Dio: adesso tutti correte a far Pasqua: rimettetevi in grazia, purificate la coscienza, e speriamo.

Il giorno solenne di Pasqua darò principio alla visita Pastorale nella nostra Cattedrale: darà poi avviso in quale forania mi recherò per continuarla. Ogni Parroco disponga il suo gregge alla visita del Pastore, possibilmente con tre giorni di spirituali esercizi; il predicatore potrebbe essere lo stesso per tutta la forania. Mi raccomando che siano ben disposti i bambini nella dottrina Cristiana: in tutte le Parrocchie se vi sarà di bisogno amministrerò la S. Cresima. Tutti i Parrocchiani che lo desiderano possono avere udienza dal Vescovo: e di ciò siano pubblicamente avvisati.

Iddio misericordioso assista le Nostre imprese, e sparga su tutto il Clero ed il popolo i suoi celesti favori.

E vi benedica il Padre, il Figliolo e lo Spirito Santo.

 

Città di Castello, 15 Marzo 1911

X CARLO Vescovo

 

 

1    Luca 23, 44

2    Matteo 5, 13

3    Isaia 58, 1

4    Matteo 23, 3

 

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